Tosi nel caos, la Fiom: "Con queste condizioni non discutiamo"

La Fim Cisl rimanda ogni decisione ai rappresentanti dei lavoratori: "Dovranno dirci se continuare senza la Cgil o fermarci"

La Franco Tosi di Legnano

La Franco Tosi di Legnano

Legnano (Milano), 12 novembre 2019 - «Con queste premesse, non siamo disponibili ad iniziare un confronto». Tanto tuonò che piovve: la Fiom Cgil ha tenuto fede alla parola data e, vista la conferma da parte della proprietà costituita dall’imprenditore di Burago Molgora Alberto Presezzi della previsione di 47 esuberi su un totale di 170 lavoratori, ha scelto di abbandonare il tavolo di discussione in merito al piano industriale della Franco Tosi Meccanica. Non è bastato l’annuncio da parte della proprietà dell’intenzione di investire 10 milioni di euro nei prossimi tre anni per sistemare l’area nella quale si trova la fabbrica di turbine e rilanciarla anche dal punto di vista produttivo per convincere il sindacato a partecipare alla discussione.

Un gesto, quello messo in atto dalla Fiom durante l’incontro fra le parti in Regione Lombardia di ieri pomeriggio, che rischia di condizionare in maniera pesante tutto l’andamento della trattativa per il futuro della Franco Tosi. «Noi continueremo soltanto se tutti i rappresentanti dei lavoratori saranno uniti. Se la Fiom non è interessata a partecipare deve assumersi le proprie responsabilità» sottolinea Christian Gambarelli, segretario generale della Fim Cisl Milano Metropoli. Che ha però poi passato la palla alle Rsu. «Se i delegati Rsu ci comunicheranno, dopo essersi presi 48 ore per riflettere sulla decisione e sulla situazione che si è venuta a creare - prosegue Gambarelli -, che l’intenzione dei lavoratori è quella di continuare con la trattativa allora andremo avanti noi della Fim insieme alla Uilm. In caso contrario, non ci sarà nessuna trattativa».

Cosa succederebbe se i sindacati non si sedessero al tavolo con la proprietà? Difficile dirlo oggi, a trattativa neppure iniziata. Quel che è certo è che il patron della Tosi, avendo acquistato il ramo d’azienda ed essendo in procinto di acquisire ufficialmente anche l’area di 36mila metri quadrati sulla quale si svolgono le attività della fabbrica, potrebbe a quel punto continuare con i propri propositi senza avere nessun interlocutore. Ma significa anche che i lavoratori, senza un accordo, potrebbero decidere di mettere in campo iniziative anche di peso per impedire che l’imprenditore agisca in un senso o nell’altro. Insomma, senza un rapporto fra proprietà e organizzazioni sindacali si creerebbe un clima teso, una sorta di guerra fredda che non potrebbe portare alcun giovamento a nessuna delle parti coinvolte. Proprio per questo è essenziale la ricomposizione del tavolo delle trattative. Anche se a condizioni differenti da quelle attuali.

«Riteniamo insufficienti i dieci milioni di euro di investimenti nel prossimo triennio, sarebbe una cifra che non garantirebbe il rilancio di reparti strategici come montaggio e service - afferma Gambarelli -. Con una base di investimenti adeguata, e quindi un vero piano di rilancio per il futuro dell’azienda, si potrebbe ragionare anche in merito all’utilizzo di eventuali ammortizzatori sociali e si potrebbe cercare di azzerare l’impatto che eventuali esuberi potrebbero avere sull’azienda e sul futuro dei suoi lavoratori». «Di certo - prosegue il segretario della Fim Cisl - un’organizzazione importante come la Fiom Cgil non può stare alla finestra in attesa poi di giudicare il risultato di una trattativa soltanto alla fine, senza prendervi parte direttamente». «Come possiamo approvare un piano in cui gli investimenti reali sarebbero di meno di 4 miloni - tuona Mirco Rota della Fiom Cgil -. Per noi un accordo già esiste ed è quello firmato nel 2015. Prima di tutto bisogna rispettare quel documento e poi parlare di altro».