Legnano, la proposta: "Un ospedale per i feriti di guerra"

Massimo Del Bene, chirurgo del san Gerardo di Monza, propone un ospedale dedicato nell’ex nosocomio

una sala operatoria (repertorio)

una sala operatoria (repertorio)

Legnano (Milano), 20 ottobre 2019 - «Se sei medico non puoi non curare la gente. Non c’entra niente il colore della pelle. Nessuno di noi si può permettere di dare un giudizio. Nessuno. E se sei un marinaio non puoi non salvare uno che sta annegando. È la legge del mare, della natura. Non puoi girare il timone dall’altra parte. In quel momento non pensi alle leggi, salvi la persona». Massimo Del Bene se ne vuol stare lontano dalla politica. Parla da «tecnico». Abituato a stare nel silenzio del suo lavoro. Quello del chirurgo. Di chi salva vite in sala operatoria. Tutti i giorni. Lui - direttore della Chirurgia plastica ricostruttiva, chirurgia della mano e microchirurgia ricostruttiva del San Gerardo - e la sua équipe non sono solo quelli del trapianto di mani eseguito 9 anni fa con risultati unici al mondo. Quotidianamente danno una speranza di vita migliore a vittime di incidenti e malattie che compromettono l’uso di braccia e gambe. E da circa tre anni curano anche i migranti scappati dalle torture subite nei lager libici. Arrivano con ferite spesso irrecuperabili. A volte sono vecchie di anni, ossa che si sono calcificate male. Normalmente «lavoriamo su lesioni recenti, con una chirurgia post-traumatica – continua Del Bene -, mentre a questi ragazzi serve un intervento diverso. Che io chiamo chirurgia della tortura. Cerchiamo di riparare qualcosa che è inveterato».

Ma «possiamo fare di più – è convinto -. Il mio sogno è di aprire un ospedale dei bambini di guerra». La chirurgia di guerra è una chirurgia di amputazione. «Quando tu a un bambino che vive in certi paesi del mondo hai amputato una gamba o un braccio lo hai reso un mendicante tutta la vita – l’amarezza del microchirurgo -. Lì sono tutti lavoratori manuali. Se gli togli la capacità di presa, di scaricare una cassa ad esempio, sono morti. E poi, chi gli dà le protesi? Un bambino deve cambiare la protesi ogni sei mesi perché cresce». E allora «mi immagino una mano dolce, calda, che li prende e li mette su un aereo sanitario, li porta in un letto con le lenzuola pulite, con le migliori cure e poi li rimanda indietro guariti. Come se fossero figli nostri». Non a carico dello Stato, ma grazie a finanziatori privati. «Qui abbiamo medici, infermieri, fisioterapisti, fisiatri, assistenti sociali che lavorerebbero come volontari, ora occorre trovare imprenditori in grado di sostenere questa magia», la speranza di Del Bene.

Il primo passo è di creare una fondazione o una onlus per avere una scatola, un «salvadanaio» con cui realizzare l’ospedale. L’ideale sarebbe a Legnano, dove tra l’altro Del Bene risiede. Soprattutto perché è vicina all’aeroporto di Malpensa dove potrebbero atterrare i voli sanitari. «La soluzione ideale sarebbe il vecchio ospedale di Legnano – lo slancio di Del Bene -. E’ all’asta per 6 milioni, ma non lo vuole nessuno. Magari sono un sognatore, ma se questo progetto ha le gambe, camminerà».