Buscate, la Crespi è fallita: 150 operai senza lavoro

Il tribunale di Busto Arsizio si è pronunciato. Un operaio della Rsu: "Tante promesse e mai nessun fatto concreto: è stato un percorso verso il fallimento. Ora non sappiamo cosa succederà"

I lavoratori della ditta Giovanni Crespi di Buscate, dichiarata fallita

I lavoratori della ditta Giovanni Crespi di Buscate, dichiarata fallita

Buscate, 24 settembre 2014 - Il tribunale si è pronunciato: dichiarato il fallimento della Giovanni Crespi, storica azienda che si occupa della produzione di materiali sintetici destinati principalmente ai mercati della pelletteria, della calzatura e dell’abbigliamento. Si spegne così la speranza per 150 lavoratori. La decisione della seconda sezione civile del tribunale di Busto Arsizio è arrivata quasi come un fulmine a ciel sereno. Solo mercoledì scorso c’era stata un’udienza durante la quale il giudice aveva preso del tempo per decidere sul futuro della ditta di via per Malvaglio, fuori dalla quale si sono riuniti ieri alcuni operai, attoniti e delusi: «Ora c’è il timore che 150 famiglie rimangano senza stipendio - commenta Filippo Arcidiacona, operaio nella ditta dal 2000 e membro della Rsu -. Tante promesse e mai fatti concreti: è stato un percorso verso il fallimento. Ora non sappiamo cosa succederà». «Questa azienda è sempre stata il nucleo della produzione - aggiunge Claudio Masiero, dipendente della Crespi da trent’anni - e adesso è affossata. Quello che passa la cassa integrazione non basta per mantenere la famiglia».  La vicenda della Crespi è complessa. Siamo al 29 aprile del 2013 quando la ditta è posta in liquidazione volontaria, per poi essere ammessa - nell’ottobre 2013 - alla procedura di concordato preventivo. Un faro sembra provenire da una ditta cinese, la Zhejiang Unique Science & Technology Development Co. (Unik), che dovrebbe rilasciare una fidejussione bancaria a garanzia. Gli intoppi a questo procedimento iniziano a intravedersi alla fine del mese di giugno di quest’anno. Durante un’assemblea degli azionisti, si rendono noti il mancato deposito della fidejussione e il tentativo da parte dell’azienda di sbloccare la situazione affinché si potesse dare corso all’operazione. Così sembra non essere accaduto. La mancata prestazione di garanzia bancaria da parte del potenziale acquirente avrebbe favorito il parere non favorevole all’omologazione del commissario giudiziale. Il 10 settembre durante l’udienza si è preso atto del mancato rilascio della fidejussione e il pubblico ministero ha formulato istanza di fallimento della società. Il 15 settembre, anche il collegio dei liquidatori della società delibera di rinunciare alla procedura concordataria. E poi la drastica decisione.  «Siamo amareggiati - commenta il segretario generale Filctem Cgil Nicola Romano -. Ora faremo tutte le verifiche per capire se è possibile mantenere viva la poca attività lavorativa che c’è e ottenere una proroga della cassa integrazione in scadenza ad ottobre, ma che dovrebbe essere interrotta a causa del fallimento. Sfuggono ancora le motivazioni della decisione, ma metteremo in atto tutte le azioni necessarie per la tutela dei lavoratori». Costernato anche il primo cittadino Marina Teresa Pisoni: «Per noi è un momento bruttissimo, non ce l’aspettavamo. Sembrava che ci fossero i presupposti per una soluzione. Ancora non sappiamo la motivazione per la quale i giudici abbiano decretato questa sentenza, ma siamo molto scossi». Durante l’udienza sono state nominate come giudice delegato Sabrina Passafiume e come curatore il ragioniere Paola Giudici, che aggiunge: «Il tribunale ha deciso sulla base di elementi verificati durante il processo di omologazione. Ci siamo già attivati per verificare la possibilità normativa di poter continuare l’attività aziendale».