Di Nunno e le sue verità: “Nel calcio non ho amici. Il Lecco è una famiglia”

Il patron si confessa: “Abbiamo conquistato sul campo la promozione in B con una squadra di mezza classifica, è questa la soddisfazione più grande”

Paolo Di Nunno

Paolo Di Nunno

Vulcanico, certo. Passionale e istintivo pure. Ma soprattutto innamorato del pallone. A 74 anni Paolo Di Nunno, patron del Lecco, ha la forza di un giovanotto, l’entusiasmo di un esordiente e l’ambizione di chi sa di essere capace. L’uomo che da adolescente lavorava nelle campagne di Canosa di Puglia (dove, a causa di un incidente con l’aratro, ci rimise pure una gamba) salvo poi crearsi un piccolo impero con la sua società per azioni nella produzione di apparecchi e schede per le slot machine, ora si gode la sua creatura calcistica. Che ha debuttato con una rocambolesca sconfitta nella serie B dopo un’estate tormentatissima.

Col Catanzaro le prove generali. Adesso comincia il bello...

"Ora testa al campionato. Sappiamo che ci sono squadroni, con gente che ha soldi. Io non ne ho come “quelli“. Io vivo, non muoio di invidia per loro".

Non sono stati mesi facili...

"Anche la ripartenza. Certo, la sconfitta col Catanzaro poteva starci, ma noi siamo rimasti fermi per settimane... E sa perché? per colpa di gente che non ha un cavolo da fare. Come Perugia e Brescia che hanno deciso di fare causa a tutti perché loro la C non volevano farla. E ci credo: gli umbri puntavano la B per vendere il club agli americani. Ma gli è andata male...".

Ha mai pensato che non la volessero nel salotto buono del calcio solo per antipatia?

"Non credo per antipatia. Sono comunque un personaggio, certamente do fastidio, oggi e magari in futuro. Ma resto un uomo di parola, a differenza di altri".

Ha amici nel calcio?

"Sono in questo mondo da tantissimi anni, i miei amici sono quelli della prima stagione a Canosa. Ma poi non c’è altro. In questo ambiente non puoi avere amici, solo nemici. Fanno tutti finta di volerti bene, ma solo per fregarti i soldi. E se c’è business non c’è amicizia... Io sono scomodo, ho il “difetto“ di dire in faccia quello che penso, ma poi mi passa tutto. Non porto rancori e se mi dicono che ho sbagliato chiedo scusa".

Quanto l’hanno aiutata le istituzioni?

"Prima il Comune ha detto che mi avrebbe dato una bella mano, ora neppure manina. Ma posso capirlo: le amministrazioni sono tutte disperate. Qualcuno si è fatto avanti ma non per darmi soldi bensì solo per pubblicità. Sa, ora le partite sono in diretta per tutti".

Chi le ha chiuso davvero le porte quando si è trovato di fronte il problema stadio?

"Chiesi prima al Brescia: chiamai Cellino in Inghilterra, ma non sapevo che stesse facendo ricorso anche lui. Poi mi sono rivolto al Monza, per tutta la nostra città era la soluzione più bella, anche perché i tifosi sono gemellati e avrei potuto giocare sempre lì. Però Galliani mi disse che il campo si sarebbe rovinato con la pioggia. Ma la cosa che mi fece davvero arrabbiare è stato quando gli chiesi la disponibilità il venerdi, prima della finale di ritorno col Foggia. Mi disse: “Non è che fai la fine del Bari che all’ultimo minuto non è andato in A?“ Noi invece al Foggia di gol ne abbiamo rifilati tre, i ragazzi volevano la B. Ma il campo non l’abbiamo avuto".

Così è stato costretto a giocare la prima partita “casalinga“ a Padova...

"Altre spese. Solo l’affitto del campo mi è costato 30mila euro. E poi il viaggio di andata e ritorno, la notte in hotel, i pasti. Ma per fortuna si torna a casa".

Davvero? Quando riapre il Rigamonti Ceppi?

"Il 16 settembre per la sfida col Brescia. I lavori sono praticamente finiti (servivano un impianto di illuminazione di 1200 watt, necessario per le tv, e almeno 5500 posti a sedere oltre ai tornelli, ndr), siamo stati più veloci della luce".

Un bel regalo per i tifosi che incontrerà fra poche ore per la presentazione della squadra...

"Dico che anche il Comune dovrebbe essere grato. Siamo tutti felici, ora i tifosi mi chiedono la serie A. Magari può capitare, ma poi dove vado a giocare la A? Non c’è campo, neppure un hotel. Al sindaco l’ho detto..."

E invece ai tifosi cosa dirà?

"Di darmi una mano se vogliono restare in B. Altrimenti darò la squadra al Comune. Ma io ora me la tengo stretta, un anno in B lo voglio fare perché abbiamo conquistato la promozione con una squadra da mezza classifica. Questa è la grande soddisfazione. Il gruppo che si è creato è una famiglia".

Cosa la spinge a proseguire?

"La passione. Io non vengo dai piani alti, sono un povero disgraziato con la passione per il pallone e non ci guadagno nulla nel calcio. Questa non è piazza come Bari e Palermo, qui ci sono solo 40mila abitanti, è la provincia che è grande. Ma so che questa stagione potrebbe costarci 8, forse 10 milioni. Abbiamo anche 20 squadre giovanili".

Ha richiamato il ds Fracchiolla che le ha costruito la squadra in poche settimane...

"Vero, gli ho chiesto di tornare anche perché mio figlio non poteva fare il ds, anche se lo scorso anno ho vinto proprio grazie all’aiuto dei miei due figli Gino e Paolo Cristian. Ora mi sono affidato ad una persona che stimavo e che ha le capacità per lavorare in serie B. Abbiamo un’ottima squadra, fatta con acquisti giusti e col Catanzaro avremmo meritato il pareggio. Questi sono giocatori che da noi faranno tanti gol, ragazzi che vanno in campo tranquilli e con cui mi sono complimentato nonostante la sconfitta".

Oggi per voi si chiude il mercato: ha mai pensato ad un colpo a sorpresa come Balotelli?

"Proprio lui no. La squadra è fatta. Con i giocatori esperti siamo a posto e poi abbiamo tanti giovani pronti".

Lei lo sa che molti tifosi d’Italia hanno conosciuto il patron Di Nunno quando è entrato in campo con la carrozzina per protestare contro l’arbitro durante la partita dei playoff col Pordenone

"Si, ma quel rigore non c’era, al limite era punizione. Ero in panchina, mi arrabbiai ed entrai in campo. Dissi all’arbitro: “da dove vieni?“ Poi lui mi cacciò".

Rifarebbe tutto ciò in serie B?

"Se dovessi vedere che l’arbitro non è all’altezza si. Non mi frega se mi allontanano. Ora però c’è il Var, ma purtroppo si sbaglia di più perché le decisioni le prendono sempre gli arbitri".