Uccise la moglie bruciandola L’ergastolo è confermato

Brescia, l’omicida di Mina Safine davanti alla Corte d’assise di secondo grado

Uccise la moglie bruciandola  L’ergastolo è confermato

Uccise la moglie bruciandola L’ergastolo è confermato

Ergastolo confermato ieri in appello per Abderrain Senbel, il 55enne del Marocco accusato di avere ucciso, dandole fuoco, la moglie, Mina Safine, connazionale con dieci anni di meno, nella loro casa di via Tiboni a Brescia. L’avvocato Luigi Farriello ha nuovamente perorato l’innocenza dell’imputato, riproponendo la tesi del suicidio della donna, ma la Corte d’assise di secondo grado - a presiederla, Giulio Deantoni - ha riletto la vicenda come già avevano fatto i giudici di primo grado. Era il 20 settembre 2020.

Addetto alle pulizie in un albergo lui, badante lei, marito e moglie - Mina morì in ospedale tre settimane dopo per le ustioni sul 90% del corpo- di quella sera hanno dato versioni contrapposte. "Mio marito mi ha bruciato", aveva detto lei al 112 quella sera, chiedendo aiuto. "Si è data fuoco da sola perché era depressa", aveva ribattuto il consorte. Ma per l’accusa, riproposta dalla procura generale, una simile tesi non è credibile. Una consulenza della procura aveva infatti accertato che quando la vittima era stata attinta dalle fiamme era in piedi, e non aveva alzato le braccia. Circostanza impossibile dunque che si fosse data fuoco da sola versandosi una bottiglia di alcol addosso, come invece aveva sostenuto l’imputato, e poi si fosse trasformata in torcia umana usando un accendino trovato sulla lavatrice. E non è vero che mentre era in fiamme avesse abbracciato il marito: se così fosse andata, le bruciature trovate sul corpo di Senbel sarebbero state diverse e più incisive. Per la procura Mina viveva sì un matrimonio infelice, soffriva per non avere figli e per le difficoltà economiche. Ma non aveva mai manifestato l’intenzione di farla finita. Al contrario per la difesa non vi sono prove di un omicidio volontario - tutt’al più preteritenzionale, richiesta subordinata a quella di assoluzione - dal momento che subito dopo i fatti Senbel era corso fuori sul balcone per chiedere aiuto. E nessun assassino avrebbe mai permesso alla vittima di prendere il telefono e chiamare parenti, amici e soccorritori. "Mina incolpava il marito della sua infelicità e solitudine. Non aveva avuto figli, conduceva una vita ai margini. Si è suicidata e ha dato la colpa al marito". Nemmeno questa volta però i giudici gli hanno creduto. Beatrice Raspa