DANIELE DE SALVO
Cronaca

Esino Lario, il racconto dell'ultimo reduce: "Così sono scampato ad Auschwitz"

Celebrato con la Medaglia d’onore

Giuliano Maglia

Esino Lario (Lecco), 26 gennaio 2019 -  Auschwitz per lui non è un capitolo di storia, non è un luogo da visitare, non è un simbolo dell’Olocausto. Lui ad Auschwitz c’è stato. A differenza di tanti altri commilitoni e internati ebrei e non, da Auschwitz però è tornato. Vivo. Giuliano Maglia, 96 anni di Esino Lario, è uno degli ultimi deportati superstiti. «I tedeschi mi hanno catturato il giorno della resa delle armi, l’8 settembre del ‘43 – racconta -. Io ero soldato del 52° Reggimento di fanteria, i Cacciatori delle Alpi. Mi trovavo in Montenegro sul fronte albanese. Prima ci hanno portato a Valona e poi a Vienna». Stipati sui carri bestiame con lui c’erano non solo militari, ma anche donne, perfino bambini, trattati tutti come bestie. «In Austria ci hanno diviso, i civili da una parte, noi soldati da un’altra». Sapeva ciò che l’attendeva: «Quando in Austria ci hanno caricato di nuovo sui vagoni piombati e siamo ripartiti ero consapevole che se il treno avesse imboccato il binario di destra saremmo tornati in Italia, mentre se ci fossimo diretti a sinistra ci attendevano i lager».

La tradotta ha svoltato a sinistra, come testimonia il numero 48772 marchiato  sulla pelle, non una semplice cifra, ma la sua nuova identità per tutto il periodo della prigionia. «Una volta ad Auschwitz i nazisti delle Ss mi hanno chiesto che intenzioni avessi e io ho subito risposto «Arbeit un brot», lavoro e pane, altrimenti mi avrebbero probabilmente eliminato». Il lavoro gli è stato garantito nelle miniere di carbone di Katowice, 16 ore al giorno, il pane no: è stato solo grazie ad alcuni operai polacchi che ogni tanto gli regalavano qualche tozzo privandosene se è scampato alla morte per fame, la sbobba che poteva mangiare la sera non sarebbe bastata. Sono stati i russi a liberarlo, per lui però non era ancora finita, tornare a casa non è stato semplice. «Le linee ferroviarie erano distrutte dai bombardamenti, le strade e i ponti pure. Muoversi e spostarsi era molto difficile.

Prima ci hanno trasferito a Bratislava, poi a Innsbruck una volta che è stato ricostruito il ponte sul Danubio, quindi il Brennero e infine, l’11 settembre 1945, esattamente dopo 24 mesi di internamento, finalmente di nuovo a casa, a Esino». Dove ha trovato la forza di lasciarsi Auschwitz alle spalle e di andare avanti? «Il lavoro – risponde -, il lavoro». Durante la cerimonia celebrata ieri a Lecco in occasione del Giorno della Memoria, accompagnato dai figli e da tutti i familiari, è stato l’unico ancora vivente in provincia a ricevere la Medaglia d’onore riservata ai reduci del campi di sterminio.