Piani di Bobbio, ritardi nel salvataggio degli escursionisti: tragedia sfiorata

Le parole di Graziano Plati, del Soccorso Alpino: "Trascorsa più di un'ora fra richiesta di soccorso e intervanto. Noi, 112, vigili del fuoco e specialisti: manca coordinamento"

Graziano Plati, volontario della stazione di Valsassina-Valvasone del Soccorso alpino

Graziano Plati, volontario della stazione di Valsassina-Valvasone del Soccorso alpino

Sono vivi. Tutti e tre. Li hanno riportati a casa sani e salvi i volontari del Soccorso alpino. Tre giovani di 19, 20 e 21 anni di Milano venerdì pomeriggio sono rimasti bloccati in un canalone di neve e ghiaccio a duemila metri di quota ai Campelli, a monte dei Piani di Bobbio, in Valsassina.

Bloccati nella neve

Erano infreddoliti, senza l’equipaggiamento adatto, fermi in un punto molto scosceso: un passo falso e sarebbero scivolati per centinaia di metri. Il percorso che stavano affrontando si è rivelato molto più impegnativo di quanto avevano letto nelle descrizioni sui social network. Quando i soccorritori li hanno raggiunti era già buio, le condizioni meteo erano pessime e loro stavano morendo di freddo, con i piedi infilati negli zaini per cercare di scaldarsi. Li hanno imbracati, assicurati con le corde e scortati passo dopo passo al sicuro. In alcuni tratti molto ripidi hanno dovuto letteralmente calarli di peso con le funi.

Vivi per miracolo

"Sono vivi, li abbiamo riportati a casa. Però...". Graziano Plati, 55 anni – dagli anni Novanta uno degli “angeli“ delle montagne lecchesi – ha partecipato all’intervento di salvataggio con altri cinque colleghi della stazione di Valsassina-Valvasone della XIX Delegazione Lariana del Soccorso alpino lombardo. Ha l’amaro in bocca, Plati. Perché qualcosa secondo lui non ha funzionato come invece avrebbe dovuto, fin dall’inizio delle procedure di recupero. E non è la prima volta. "Cosa è andato storto? È stato perso tempo, è mancata collaborazione tra chi si occupa di soccorso, ci sono state a mio avviso decisioni sbagliate a vari livelli", spiega a titolo personale. Non è una critica, semmai un alert: bisogna evitare che eventuali errori si ripetano in futuro.

Catena dei soccosri inceppata

Per capire cosa non ha funzionato bisogna riavvolgere il nastro e tornare in que canalone di neve e ghiaccio ai Campelli. La richiesta di aiuto dei tre giovani escursionisti milanesi è stata raccolta dai centralisti dei 112, il numero unico di emergenza; inizialmente la segnalazione è stata inoltrata ai vigili del fuoco di Lecco, perché da una prima analisi i ventenni non si trovavano in “imminente pericolo“. Quando hanno ponderato che si trattava di un intervento da specialisti del Cnsas, i vigili del fuoco hanno a loro volta chiesto di mobilitare i tecnici del Soccorso alpino, salvo poi bloccarli perché contavano di portare a termine la missione con uno dei loro elicotteri di stanza a Malpensa. A causa del maltempo tuttavia i Draghi lombardi non hanno potuto decollare. E per lo stesso motivo si sono alzati in volo neppure i soccorritori dell’elisoccorso di Areu. "Ci siamo così messi in marcia noi, che eravamo pronti in allerta", racconta Plati.

Il tempo perso

Nel frattempo però era trascorsa un’ora, era calato il buio della sera e il meteo era peggiorato. "Il tempo perso nelle chiamate e nella scelta di attivare prima i soccorritori di un corpo preparato per tante emergenze ma non certo per lavorare in quelle condizioni e in quegli ambienti, avrebbe potuto trasformare il salvataggio dei tre giovani nel recupero delle loro salme – prosegue il tecnico del Soccorso alpino – E non è la prima volta che succede".

Tecnologia

In passato le procedure sembra funzionassero meglio, sebbene meno codificate e normate, e nonostante si impiegasse minore tecnologia. Proprio la tecnologia ora "permetterebbe invece di allertare tutti in blocco, di scambiarsi meglio e più in fretta le informazioni e di coordinarsi nel modo migliore per le persone da soccorrere e salvare". Perché il punto non è chi interviene, ma dare sempre e solo la priorità agli escursionisti da soccorrere. "Noi del Soccorso alpino siamo tutti volontari, ma siamo formati, qualificati e certificati – sottolinea ancora Graziano Plati – Conosciamo ogni angolo del territorio, ci addestriamo costantemente, siamo equipaggiati e disponiamo dei mezzi necessari. La passione che abbiamo ci rende molto motivati. Tutti commettiamo errori, ma non può diventare la prassi. Io in coscienza non mi sento di aspettare una tragedia. Uno di quei ragazzi avrebbe potuto essere uno dei miei figli".