’Ndrangheta, dopo undici anni nuovi arresti nell’operazione Infinito

In manette in sette all’alba di ieri nelle province di Como, Lecco, Brescia, Varese, Mantova e Novara. Le accuse spaziano dall’associazione mafiosa all’estorsione, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio

Tra gli arrestati anche Aldo Bosina, già condannato per il traffico di rifiuti

Tra gli arrestati anche Aldo Bosina, già condannato per il traffico di rifiuti

Bosisio Parini (Lecco) - "C’è sempre un esercito dietro di noi... mi chiamate che io non arrivo con una macchina, arrivo con un esercito!". Minacce e percosse per costringere alcuni promotori finanziari a consegnare somme di denaro, o a fornire una collaborazione forzata nell’ambito dell’intermediazione creditizia. È una delle accuse che ieri mattina ha portato all’arresto di sette persone, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare giunta a conclusione di un’indagine della Dia di Milano, la Divisione Distrettuale Antimafia. Le accuse a vario titolo ipotizzano reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di beni e valori e appropriazione indebita aggravati dal metodo mafioso, bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio, per condotte che sarebbero avvenute a partire dal 2019.

In carcere sono stati portati Michele e Pasquale Oppedisano, padre e figlio di 52 e 22 anni di Bosisio Parini (Lecco), Santo Salvatore Paviglianiti, 68 anni di Cermenate (Como), Domenico Larocca, 64 anni di San Giorgio Bigarello (Mantova), Pietro Lo Re, 46 anni di Gussago, nel Bresciano, mentre ai domiciliari sono finiti Aldo Bosina, 58 anni domiciliato in provincia di Novara e Michele Filippo Cutrì, 50 anni di Uboldo, provincia di Varese. L’indagine sarebbe l’ultimo capitolo dell’operazione Infinito, che nel 2010 aveva portato all’individuazione delle Locali di ‘ndrangheta presenti nella Lombardia occidentale, da cui era scaturita la ricostruzione dell’organigramma, dei rapporti di potere e delle attività presenti sul territorio collegate alla gestione criminale, sfociata nella condanna di tutti i soggetti coinvolti. Negli anni si sono avvicendate numerose altre indagini il cui denominatore comune era l’affermazione della presenza criminale riconducibile all’ndrangheta.

"Un sistema di regole – spiega il giudice nell’attuale ordinanza – che crea vincoli tra gli aderenti e opportunità di azione, una configurazione reticolare, strumentale al perseguimento di diversi interessi individuali, con forme di solidarietà collettiva e di cooperazione, il cui tessuto connettivo è la soddisfazione degli interessi individuali". Questa la premessa, ma lo spunto di questa indagine in particolare, è partito da riscontri svolti su personaggi legati alla cosca Pesce-Bellocco di Rosarno attivi nel territorio lombardo. "Gli interessi degli indagati spaziavano dalle estorsioni ai reati di bancarotta fraudolenta, al riciclaggio di proventi di attività delittuose connesse anche all’illecita gestione di rifiuti", spiega la Dia. Tra i soggetti arrestati figurano "appartenenti ad altre storiche famiglie ‘ndranghetiste insediatesi nei territori del Lecchese e del Comasco". Così l’ordinanza parla di "costanti legami d’affari tra gli associati residenti in Brianza, e gli esponenti della famiglia Oppedisano operanti in Calabria". Il riferimento in particolare riguarda Michele Oppedisano, già condannato in Infinito come appartenente al locale di Erba, e lo zio Domenico, 90enne capo crimine in Calabria.