Chi era Claudio (Ghezzi) della Grigna, morto sulla montagna che era diventata il suo nome

L'amava talmente tanto che in un anno ci era salito ben 251 volte. Aveva 69 anni e si preparava a festeggiare i 70 il 4 luglio proprio sulla Grigna

Claudio Ghezzi, a destra

Claudio Ghezzi, a destra

Puoi amare così tanto una montagna da trascorrervi sopra gran parte della vita? L’avevamo chiesto a Claudio Ghezzi in occasione di uno dei suoi tanti record e lui non aveva esitato un attimo. "La Grigna è nel mio cuore e non sono mai stanco di salire", ci aveva risposto con il suo solito sorriso.

Ieri è morto proprio sulla sua montagna, la sua casa, la cima di 2.410 metri simbolo delle Prealpi lombarde, dalla quale si domina tutta la Pianura Padana. Un maledetto incidente sulla cresta Carbonari. Sembra impossibile che sia capitato proprio a lui che quelle rocce le conosceva più di chiunque altro. Era già salito al rifugio Brioschi per dare una mano ad Alex, il gestore, ma poi era sceso per andare incontro a degli amici che percorrevano la ferrata dei Carbonari.

Ha perso la presa ed è volato per una quindicina di metri. Aveva 69 anni, viveva a Missaglia e anche il suo nome ormai era diventato quello della montagna sulla quale era salito quasi seimila volte. Voleva festeggiare il nuovo traguardo in occasione del suo compleanno il 4 luglio. “Claudio della Grigna“, così lo chiamavano in tanti, gli escursionisti che lo incrociavano mentre saliva. Bastava seguire le sue orme mentre affrontava "il muro del pianto" (come è soprannominata la salita che dal bivacco Comolli sale verso la cresta della Grigna e che mette a dura prova un po’ tutti) a testa bassa, lo sguardo fisso al terra, facendo la traccia in mezzo metro di neve fresca senza mai voltarsi; oppure in mezzo alla bufera con la testa ghiacciata e bruciata dal sole, gli occhi che sorridevano sempre, per capire la passione immensa che lo muoveva.

La sua presenza era così preziosa per i rifugisti. Sommando i giorni in cui è rimasto impegnato per salire e scendere, lassù ha trascorso più di dieci anni della sua vita. Un anno era salito addirittura 251 volte. In un mese 27. Non solo la Grigna, Claudio aveva un legame speciale con le montagne di tutto il mondo. Aveva scalato in Himalaya, Karakorum, le Ande, il Pamir. "Con Giacomo (Scaccabarozzi) ho fatto quasi tutte le Alte vie d’Italia. Stavamo via 15 o 20 giorni d’estate. Poi dal ‘91 all’estero - raccontava -. L’Illimani in Bolivia, poi il Pakistan, il Nepal, Kirghizstan, Kazakistan, Uzbekistan. Sono salito sul Peak Lenin, abbiamo tentato il Peak Pobeda. Ho fatto un tentativo al Muztagata e nel 1997 ero in spedizione al Cho Oyu. C’era anche il Butch (Marco Anghileri). Sono arrivato all’ultimo campo, ma poi niente da fare. Anche al Gasherbrum II nel 2005 sono dovuto scappare dalle valanghe. Sono salito sull’Aconcagua e tante cime del Perù e ho girato in lungo e in largo per le valli nepalesi. Capisci che vai forte quando hai nelle gambe l’allenamento che fai in Grigna".

Dopo tanti viaggi tornava sempre lì. Il motivo l’aveva spiegato lui: "Quella montagna è nel mio cuore. Anche perché dopo la morte di Giacomo (Scaccabarozzi), mi è successo qualcosa. Vederlo lì sotto il rifugio mi ha cambiato. Tutte le volte che scendo dal “costone“ passo sempre a dare un occhio nel punto in cui l’abbiamo trovato. C’è una croce che smonto durante l’inverno perché altrimenti le valanghe se la portano via - raccontava - E poi il Butch (Marco Anghileri)... non dovevamo nemmeno metterci d’accordo, ci trovavamo e basta... ecco queste cose che sono successe hanno contribuito a rinsaldare ancora di più il mio legame con la Grigna".