L’indagine sul rogo doloso al capannone di Castione, del 16 settembre, prosegue serrata da parte dei carabinieri della Compagnia di Sondrio, coordinati dal magistrato titolare dell’inchiesta, il dottor Stefano Latorre: il confronto a Palazzo di giustizia è pressochè giornaliero.
Dopo l’individuazione, a tempo di record, degli autori materiali dell’incendio, rinchiusi nei giorni scorsi nel carcere milanese di San Vittore e poi scarcercati dal gip Fabio Giorgi, una volta effettuati gli interrogatori di garanzia nel corso dei quali i due principali indagati, Massimno Dato, 51enne, e il coetaneo Tiziano Pedone, hanno confessato ottenendo i domiciliari, scagionando pienamente il presunto complice, ossia il 40enne Marco Crocenzi (liberato con il solo obbligo di firma), alla cui jeep a Milano avrebbero sottratto le targhe da apporre sul Fiorino Fiat noleggiato per raggiungere la Valtellina e commettere l’attentato incendiario, l’indagine degli investigatori del maggiore Nicola Leone mira ora a individuare il mandante. Perchè nessuno dei tre, tantomeno Crocenzi che si è dichiarato totalmente estraneo alla vicenda, ha fatto il nome di chi li ha mandati a distruggere il magazzino di Pio Schena e della moglie Wanda Grazioli, residenti a Chiesa in Valmalenco, affittato all’imprenditore Andrea Taurino. Da chiarire, inoltre, il giallo delle chiavi usate per aprire il cancello che portava alla struttura, in quanto la super testimone li ha visti aprire con le chiavi. "Io ho accompagnato Pedone solo per un senso di riconoscenza verso di lui - ha raccontato Dato - mi ha procurato il posto nella ditta dove lavoravamo a Milano. L’ho visto poco pratico mentre armeggiava con la benzina, ne ha anche presa troppa. Avevo paura si facesse male lui o potesse causare un’esplosione. Un poco di carburante della tanica l’ho tenuto per la moto. Non so da chi ha avuto l’incarico di appiccare il fuoco". Michele Pusterla