
Alluvione a Casargo
Casargo (Lecco), 8 agosto 2019 - Tre tempeste perfette sono riuscite a mettere ko Valsassina e Valvarrone, nel Lecchese, in meno di due mesi. La prima il 12 giugno quando un nubifragio mattutino aveva riversato sulle valli a nord di Lecco ben 115 millimetri di acqua in poco più di un’ora. Risultato? Tantissima paura, un’ottantina di sfollati (una manciata tutt’ora fuori casa) in due differenti Comuni e danni per trenta milioni di euro. Secondo round il 2 agosto quando un temporale notturno di entità minore (43,8 millimetri di acqua in cinquanta minuti) ha causato una frana scesa dalla Val da Corda sull’abitato di Casargo. Bilancio: 14 sfollati, fango ovunque ma danni tutto sommato contenuti.
A distanza di soli quattro giorni però la paura è tornata nel Comune dell’Alta Valsassina, colpito martedì sera da un violentissimo nubifragio (109,6 millimetri in soli cinquanta minuti), che ha provocato il distacco di una frana (questa volta dal versante opposto del paese) dalle conseguenze devastanti: 146 persone evacuate, una ventina di auto completamente sommerse dal fango o distrutte dai massi, e un paese in ginocchio tanto che il preoccupattissimo sindaco Antonio Pasquini, da poco rieletto, ha chiesto agli uomini della Protezione civile «di far presto a mettere al sicuro le vallette qui attorno altrimenti Casargo verrà spazzato via». Ma come si spiega questo mix esplosivo di eventi nella stessa zona del Lecchese, quasi si trattasse di un triangolo delle Bermuda del maltempo? E soprattutto come mai in un tempo così ravvicinato? E ancora: quanto si deve all’eccezionalità degli eventi e quanto alla macata manutenzione del territorio? «Non c’è mai un’unica causa in situazioni di emergenza come questa - spiega Fabio Valsecchi, a capo della Protezione civile della provincia di Lecco - che hanno sempre un innesco, una miccia che scatena il tutto: in questo caso i temporali che riversano grandi quantità di acqua in breve tempo». Se Coldiretti poi ricorda che il mese di luglio appena concluso ha fatto registrare una temperatura superiore di due gradi rispetto alla media storica (il settimo più caldo dal 1800) si capisce che il clima ci mette del suo. «Il resto lo fa la stratificazione geologica di un territorio come il nostro che, da sempre, ha un elevato rischio idrogeologico». Tradotto: significa che Lecco e il suo territorio montuoso sono più fragili e “naturalmente” predisposti agli smottamenti per via «della loro conformazione a “V” di origine fluviale». Ci mette del suo ovviamente anche l’uomo, che negli ultimi decenni ha smesso di vivere in sintonia con la natura che lo circonda come ricorda bene uno degli anziani del paese. «Una volta sulle montagne ci stavamo perché ci davano da vivere con le bestie e la legna - spiega Luigi Maffei - ma adesso tutti pensano ad altro, alla città, ai viaggi e boschi e sentieri sono abbandonati e succede quello che vediamo».