
Zaccarea Kamara arrivava dalla Sierra Leone
Robbiate (Lecco), 22 febbraio 2016 - «Papà, papà, mi fa tanto male qui dove c’è il cuore». Questo ha detto. E subito dopo si è accasciato tra le sue braccia senza mai riprendere conoscenza. I sanitari del 118 hanno tentato il possibile e anche di più per rianimarlo, come i medici dell’ospedale di Merate prima e quelli della Terapia intensiva pediatrica del Papa Giovanni XXIII di Bergamo poi, dove è stato trasferito d’urgenza in eliambulanza. Ma ieri mattina, domenica, dopo una notte di agonia, Zaccarea Kamara, 9 anni, originario della Sierra Leone, è stato dichiarato cerebralmente morto. Il genitore ha acconsentito all’espianto degli organi, ma è stato possibile prelevare solo le cornee, gli altri erano troppo compromessi. I motivi del malore rivelatosi fatale non si conoscono, bisognerà attendere il responso dell’autopsia.
Zaccarea, pronunciato con l’accento sulla seconda «a», sabato stava giocando a pallone durante una partitella di allenamento con i compagni della squadra dell’oratorio di Robbiate, paese dove era arrivato per la prima volta solo a ottobre. Ha potuto tirare appena qualche calcio, giusto per accontentarlo in attesa che martedì si sottoponesse alla visita specialistica e all’elettrocardiogramma per ottenere il certificato obbligatorio di idoneità sportiva. «Lui ci teneva molto a giocare, insisteva tanto – racconta il padre David Kai, 52 anni, in Italia dal 1999 -. Da bordo campo gli ho urlato qualche consiglio, all’improvviso è caduto a terra, sono corso da lui, l’ho preso in braccio...». Inizialmente la situazione non pareva tanto grave. Sarebbe trascorso almeno un quarto d’ora prima che qualcuno lanciasse l’allarme. «Bisognerebbe prevedere che in tutte le squadre ci sia almeno una persona esperta in pronto intervento. Non è per me né per lui, ormai non c’è più, è per gli altri bambini...».
Quando sono arrivati i soccorritori Zaccarea respirava ancora, ma in pochi istanti è andato in arresto cardiaco e non c’è stato nulla da fare, è precipitato in uno stato di coma sempre più profondo da cui non si è risvegliato. Nell’abitazione di viale Brianza dove il bambino abitava, a due passi dalle scuole dove frequentava la terza elementare, è cominciata una lunga e incessante processione di amici, insegnanti, vicini di casa, il parroco, assessori, conoscenti e persino sconosciuti. «È la vita, certe cose capitano – sospira il papà «– Al mattino eravamo stati in municipio per il documento di identità. Ho impiegato così tanto a portarlo qui con me, sua madre non voleva ma io ho insisto, in Sierra Leone si sta male, adesso che eravamo finalmente insieme l’ho perso». «Stava bene, era felice qui – dice mostrando le foto del figlio – Forse era malato e non lo sapevamo. Succede purtroppo, è la vita...».