Regionali Lombardia, l’intervista a Mara Ghidorzi candidata per Unione Popolare

Le proposte per il governo della Regione del partito di sinistra radicale

I giornalisti de Il Giorno intervistano in diretta Mara Ghidorzi, candidata alle elezioni regionali in Lombardia per Unione Popolare, in attesa del voto del 12 e 13 febbraio. Questa è solo il primo di quattro appuntamenti live con i candidati alla presidenza.

Il Giorno ha realizzato una scheda con ritratto e programma di ognuno dei quattro candidati, nonché una video intervista esclusiva per conoscere le loro posizioni e le priorità per il governo della regione. Qui sotto sono indicati i vari link.

Attilio Fontana: Link alla video intervista / Link al ritratto e ai programmi

Pierfrancesco Majorino: Link alla video intervista / Link al ritratto e ai programmi

Letizia Moratti: Link alla video intervista / Link al ritratto e ai programmi

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Partiamo con la prima domanda: quali sono i punti fondamentali della vostra proposta politica per la Regione Lombardia?

Abbiamo come obiettivo quello di rimettere al centro il pubblico nell'agenda politica. Il pubblico, non tanto inteso come la burocrazia, il carrozzone, l'inefficienza, ma pubblico come bene comune. Quindi per noi una sanità pubblica che funzioni, un trasporto pubblico locale efficiente, un lavoro buono, dignitoso, sicuro. La scuola. Sono beni pubblici che vengono prima dei profitti. Purtroppo, in Lombardia negli ultimi trent'anni invece abbiamo osservato una tendenza opposta. Quindi mettere i profitti, trasformare i diritti in merce e partire proprio dalla sanità. Ecco, noi vogliamo ribaltare questa narrazione e quindi ripartire proprio dai diritti.

 

Ecco, parlando di sanità, come tutti ormai sanno vale l'80% del bilancio regionale. Nella vostra proposta politica c'è un'incidenza particolare sul discorso della compartecipazione, cioè del ticket. Addirittura, si parla di abolire ogni forma di compartecipazione, indipendentemente dal reddito alla spesa sanitaria, che non sia quello il prelievo fiscale, il gettito fiscale. E c’è anche un punto anche riguardo la legge sulla disabilità. Quella recentemente varata, ce lo spiega un po’ meglio?

Sì, certo. Noi partiamo da un presupposto che la sanità, quindi la salute, deve essere garantita, garantita a livello universalistico, com'era nello spirito della nostra Costituzione. Fino a pochi anni fa non si pagava il ticket, per esempio, per accedere a una prestazione sanitaria. Quindi noi pensiamo che bisogna ritornare in qualche modo ai principi propri della nostra Costituzione, quindi rimettere al centro la sanità pubblica.

E in questo caso siamo gli unici che in qualche modo nel loro programma parlano di superamento del modello di accreditamento pubblico privato. Per noi l'80% che ad oggi è destinato alla sanità deve essere reinvestito in sanità pubblica. Questo permetterebbe di assumere più personale medico infermieristico e di andare a potenziare tutta quella medicina territoriale che in questi anni si è totalmente smantellata.

La Lombardia è un deserto sociale. Per quanto riguarda i medici di base, i consultori, la legge parla di un consultorio ogni 10.000 abitanti. Siamo a un consultorio ogni 50.000 abitanti e quei pochi che ci sono non sono neanche pubblici, laici, ma sono ispirazione religiosa. Quindi non garantiscono poi la piena scelta della donna e della ragazza sul corpo. E poi c'è il tema anche delle Uonpia, dei Serd. Un deserto, insomma.

Manca totalmente, appunto, la medicina di prossimità e territoriale. E quindi va potenziata. Anche perché c'è un tema molto importante che è quello legato alla prevenzione. In Lombardia non si fa più prevenzione perché è la logica dei grandi poli ospedalieri d'eccellenza. Si è concentrata soltanto sulla cura della malattia e non sulla prevenzione della malattia.

Perché? Perché comunque il privato con un corpo malato di un corpo sano? Perché il suo corpo malato si può spendere di più?

Ecco, noi vogliamo invece rimettere al centro anche la prevenzione e quindi andare a lavorare sulla medicina scolastica e rimettere il medico a scuola com'era un tempo, proprio per andare in qualche modo a controllare meglio, per esempio, alcune forme di malattie.

Così come andare anche a potenziare la medicina del lavoro, che anche oggi è un tema che purtroppo non è più sotto gli occhi dell'agenda politica. E su questo mi collego poi al tema della legge 23 dei caregiver. Anche qui, spesso in Lombardia le famiglie sono lasciate sole, quindi c'è un grave bisogno di supporto psicologico da una parte e dall'altro di più supporto in termini di servizi. E quindi va ovviamente potenziata da questo punto di vista la parte anche di sostegno economico.

E pensiamo che non sia sufficiente una legge regionale, ci dovrebbe essere maggiore investimento. Da questo punto di vista c'è una legge nazionale che ad oggi manca.

 

Nella coalizione che la sostiene ci sono due partiti. Rifondazione comunista e Potere al Popolo di chiara ispirazione comunista. Questa parola, comunismo, ha ancora un senso oggi secondo lei? Lei si definirebbe comunista?

Allora, ha ancora un senso nel momento in cui si parla di mettere i diritti prima del mercato e ancora ha senso se diciamo che secondo noi ci vuole più Stato e meno mercato. Ovviamente il mio è un comunismo del XX secolo e quindi penso che ci debba essere una concezione maggiormente libertaria del comunismo. Quindi sicuramente il mio modello di ispirazione non è lo stalinismo e quelle forme deformate di comunismo.

Però mi piace definirmi con un'accezione più ampia: anticapitalista. Perché questa definizione al suo interno contiene tutte le sfumature che mettono in discussione un sistema chiuso che è basato sullo sfruttamento del 90% della popolazione per i profitti del 10% della popolazione. Questo è un po’ il tema ed è ancora molto attuale, anzi, forse ancora di più rispetto a qualche anno fa.

 

Torno un secondo sulla sanità. Due cose secche. Come lei sa benissimo al momento il sistema pubblico-privato che esiste in Lombardia da quasi 25 anni fa sì che il 40% circa del valore delle prestazioni ospedaliere sia erogato dai privati. Nel momento in cui si va a governare la Regione, come si supera questo? Come avviene la transizione? Seconda cosa. Medici di base – quindi medicina territoriale – oggi sono liberi professionisti. In qualche modo è privatizzata in Italia anche la medicina territoriale. Lei è favorevole al fatto che diventino dipendenti del Servizio sanitario nazionale?

Sì, sarebbe la soluzione migliore. In via transitoria, quello che noi proponiamo è dare supporto a tutti quei medici di base che decidono di avere il proprio studio in zone svantaggiate della città oppure nei paesini di quelle valli spopolate che non hanno più i servizi essenziali. E quindi a livello di regione si potrebbero dare dei contributi per il sostegno dell'affitto, per esempio dello studio, proprio per andare a compensare la mancanza di medici nei quartieri più difficili.

Questa cosa avviene anche a Milano, senza andare per forza fuori nell'alta valle. Abbiamo per esempio il Municipio 6, che è un municipio molto popoloso che ad oggi se tu cerchi un medico di base non c’è. Devi spostarti in municipio. Sono saturi, non possono più ospitare pazienti, insomma. E quindi la domanda, scusate.

Riguardo il 40% erogato dal pubblico ovvio che non possiamo dire da un giorno quell'altro, quel 40% lo rimettiamo totalmente al pubblico. Il punto è andare a smantellare pian piano il sistema, quindi nel corso della legislatura, arrivare poi a zero risorse. Cinque anni per fare questo, secondo me, sono possibili.

 

Leggendo il suo programma mi ha molto colpito, diciamo il fronte casa. Quindi parlare dei 100mila alloggi da rimettere in circolo dopo averli riqualificati, oltre a destinare il 2% che non è poco del bilancio regionale, appunto, sul fronte casa. Proponete anche quella che sembra una sorta di sanatoria sugli abusivi a Milano, visto che la situazione è stata molto discussa, si creano spesso, pensiamo a via Bolla, il fronte degli “onesti” contro il fronte degli “abusivi”. Nel caso in cui diventasse governatore e procedesse a questo piano di una sanatoria generalizzata, come risponderebbe magari a un inquilino Aler o MM che ha sempre pagato regolarmente la sua pigione e non ha mai occupato abusivamente?

Allora quello che sta succedendo nelle grandi città è colpa proprio della gestione di Aler. Una gestione che ha puntato a fortemente a dimezzare la disponibilità di alloggi e a fare una guerra fra poveri, fra vecchi abitanti e nuovi abitanti. C'è un criterio è questa legge regionale sulla casa pubblica che è fortemente razzista e lo dico proprio in maniera molto forte, che è quella di dare punteggi ulteriori alle persone che vivono da più tempo sul territorio.

Ovviamente questo criterio è finalizzato a svantaggiare quelle famiglie, magari più popolose, più numerose, che hanno più bisogno di una casa perché hanno bambini che sono prevalentemente famiglie anche i migranti. Quindi il tema è che al posto di fare la guerra fra poveri ci vogliono più alloggi. Non è questo il punto. Infatti, noi proponiamo di destinare il 2% proprio per rispondere a un bisogno di casa che è crescente. Non è più solo un problema delle famiglie più svantaggiate, c’è tantissimo ceto medio che ad oggi non riesce ad accedere al mercato privato degli affitti, perché in città come Milano i prezzi sono folli.

Milano è una città sempre più per ricchi e sta veramente buttando fuori dai propri confini i poveri, ma non soltanto dal centro verso periferia, ma dalla periferia verso l'hinterland. Perché le nostre periferie sono più gentrificate. Per esempio, guardiamo Nolo, che un tempo era un quartiere popolare. Guardiamo Tortona, guardiamo Lorenteggio. Adesso costruiranno l'ennesimo bosco orizzontale a firma Boeri. Di cosa stiamo parlando?

C’è una speculazione immobiliare fortissima e noi pensiamo che bisogna in qualche modo dare una risposta più popolare al bisogno di casa, andando anche in qualche modo a lavorare sulla leva fiscale. Cosa intendo: gli affitti sono così alti perché molti immobiliari tengono gli appartamenti sfitti? Ok, andiamo a fare un lavoro di leva fiscale. A mettere un tetto agli affitti.

Ci sono alcune città che l'hanno fatto, per esempio Berlino e Barcellona. Io penso che anche Milano debba procedere con un controllo più pubblico su questo tema, perché va bene fare profitto, ma non a scapito della popolazione generale.

E poi c'è un altro tema importante che la questione della riqualificazione nei quartieri popolari. Vivere nelle case popolari deve essere dignitoso e non deve essere ghettizzante. E questo lo dico anche in risposta ai tanti studenti e ai tanti lavoratori fuorisede che devono pagarsi, magari anche in nero, una stanza a 600 euro al mese. Noi pensiamo che vivere anche in maniera temporanea in una casa popolare debba essere un diritto. E questo avviene per esempio in molte città europee, in primis Vienna. A Vienna è normale per uno studente avere in affitto una casa popolare, quindi non è ghettizzante.

È un servizio che ti offre la comunità, che ti offre la città, perché non sono posti emarginati. E quindi c'è un lavoro molto importante: cambiare narrazione, cioè dire che stare in un quartiere popolare, vivere in una casa popolare, non ti deve mettere il marchio di poveraccio.

 

Lei ha una specializzazione in particolare sul tema del lavoro e quindi la mia domanda è: da un punto di vista della Regione quali politiche può fare la Regione su questo fronte? Perché è anche portata come un fiore all'occhiello – soprattutto la parte della formazione professionale – da chi governa al momento in Regione.

Sì, io lavoro presso Afol metropolitana. Al suo interno ha anche centro per l'impiego che gestisce per conto della Città metropolitana e quello che andrebbe fatto anche qua è andare a potenziare maggiormente i centri per l'impiego, perché sono fortemente sotto organico rispetto agli standard europei.

E poi, anche per esperienza personale, avendo punto, insomma gestendo un po’ le politiche attive del lavoro penso che le risorse europee che ad oggi sono destinate interamente alla “dote unica lavoro”, debbono essere invece utilizzate per lanciare un vero piano di sviluppo innovativo occupazionale in Lombardia. Perché? Perché lo Stato unico lavoro secondo noi non ha funzionato e non funziona. Perché è anche in questo caso trasforma il disoccupato o la disoccupata come se fosse una merce.

Ed è anche un modo neanche troppo velato di dare trasferimenti economici alle agenzie private per il lavoro, per quali il vero obbiettivo non è quello di trovare una buona occupazione, ma di avere rimborso tramite la “dote” e quindi di occupare. Punto, non c'è l'elemento qualitativo. E invece noi vorremmo utilizzare queste risorse per andare in qualche modo potenziare in maniera più qualitativa proprio il matching tra domanda e offerta di lavoro.

E questo, secondo me lo può fare bene anche un centro per l'impiego pubblico, perché ha degli standard qualitativi sui diritti dei lavoratori e sulla questione del lavoro sicuro, più alti di un'agenzia privata.

 

Ho visto dal programma che proponete per gli studenti libri, materiale scolastico, trasporti gratuiti. Insomma, tutto a carico della Regione, Mi spiega meglio questa proposta? E le faccio una seconda domanda: visto che il ritorno del pubblico presuppone un ritorno alla spesa pubblica da parte della Regione pesante, sarebbe pronta a ritoccare le tasse che sono di competenza della Regione? Ad esempio l'addizionale regionale.

Allora, faccio una premessa. Noi viviamo una regione che comunque è ricca rispetto ad altre zone d'Italia, abbiamo un bilancio bello sostanzioso e quindi ci possiamo permettere più di altre regioni di fare delle scelte politiche ben precise e questo perché in Regione i soldi ci sono, ma in quasi tutti i settori – sanità, formazione professionale, lavoro – queste risorse vengono drenate verso il privato attraverso il meccanismo del modello di sussidiarietà.

La colonna portante della regione è questa cosa qua. Quindi vogliamo togliere da una parte e mettere dall'altra per fare più investimenti nel pubblico. Non ci vediamo nulla di così irrazionale e utopistico. E anche sulla questione della scuola pubblica, del trasporto pubblico per gli studenti, del materiale scolastico, dei libri di testo: devono essere gratuiti per rispondere alla logica del diritto allo studio.

Ad oggi in Lombardia, per esempio, molti soldi vengono impiegati per la “dote scuola”. La “dote scuola” finanzia soltanto le rette. Anche qui: è evidente che nel pubblico non ci sono le rette da pagare, quindi tutti quei soldi delle rette vanno verso le scuole private e se andiamo a vedere chi utilizza questi soldi sono tutte famiglie di fascia medio alta.

È una questione veramente immorale. Noi stiamo usando soldi pubblici per finanziare le rette di famiglie abbienti da dare alle scuole private. Riprendiamo quei soldi e mettiamoli, invece, nell'acquisto di libri e materiale scolastico per chi frequenta una scuola pubblica. Non sto aumentando la spesa. Sto in qualche modo un'opera di redistribuzione dei soldi che si utilizzano.

 

Uno dei temi della campagna elettorale è il trasporto pubblico, in particolare quello che compete alla Regione. Dunque, Trenord. Per esempio, la candidata Letizia Moratti ha lanciato la proposta di metterlo a gara in servizio per garantire un servizio migliore di adesso. Qual è il suo punto di vista? Posto che leggendo il suo programma si può avere un'idea.

Io a Letizia Moratti consiglio di vedersi un film di Gilles Lellouche e dell'Inghilterra perché il fallimento della privatizzazione dei trasporti ferroviari, soprattutto, è stata piuttosto evidente. E così anche la Libera Inghilterra è tornata indietro. Adesso il trasporto ferroviario, l'Inghilterra è di nuovo pubblico. Quindi basterebbe questo per rispondere alla domanda. È evidente che il privato segue giustamente la logica del profitto, ma è la sua natura.

non c'è un giudizio moralistico, nel senso che al libero mercato e quindi dovrebbe spiegarmi la Moratti su quale principio un privato dovrebbe investire su tratte ferroviarie che magari sono a basso rendimento perché vanno a intercettare parte di territori che sono poco popolati. Per esempio, dovrebbero garantire quel servizio anche se sono 20 cittadini, tu a quei 20 cittadini devi garantire un servizio.

Ad oggi questa cosa non sta succedendo per esempio. Perché comunque Trenord è una partecipata, ma la gestione privatistica. Quindi andare ulteriormente a privatizzarla, secondo noi sarebbe un ulteriore fallimento. E io penso che in questo caso serva una pianificazione pubblica del trasporto proprio perché bisogna garantire un servizio a tutta la popolazione, anche quella che non vive vicino alle grandi città o nei comuni più popolati.

Faccio un esempio la Milano Mortara è una linea ancora a binario unico. È la linea dove ci sono più sono più tagli. Saltano le corse. Io vivo a Corsico, prendo la S9, quella che va Albairate, Saronno. E anche lì è su una tratta poco utilizzata. Perché la leggenda è quella che saltano le corse, poi nessuno lo prende.

Bisogna investire seriamente sul trasporto in ottica integrata. Altro tema importante è superare la logica degli spostamenti soltanto periferia - centro. Ad oggi la cosa più impossibile per un cittadino, per una cittadina è spostarsi fra periferia, periferia, comune, comune. Perché i trasporti sono così. Ci sono delle traiettorie verticali che arrivano in centro.

Se io voglio spostarmi nell'hinterland da un comune all'altro, se non ho la macchina non mi sposto più. È impossibile. E quindi andiamo a lavorare proprio per chi si sposta e lavora, anche senza arrivare in centro. Insomma, c'è bisogno di un serio piano di rilancio da questo punto di vista, perché usare il mezzo pubblico deve essere più conveniente, in termini economici e di tempo, di conti economici.

Perché la tendenza condivisa da centrodestra e centrosinistra, è invece quella di mettere da una parte area "B" e a te, poveraccio, non ti faccio entrare in città perché non ha neanche i soldi per comprarti la macchina. Ma poi ti aumento il costo del biglietto, insomma. E quindi c'è una politica un po' schizofrenica da questo punto di vista, per noi l'ambientalismo non può essere un lusso che si possono permettere soltanto le persone ricche.

Ma l'ambientalismo deve essere realmente una pratica diffusa fra tutti, popolare, e quindi servono scelte radicali di sistema, perché non possiamo più permetterci di veramente fare del giardinaggio.

A proposito di ambientalismo, a tanti imprenditori probabilmente tremano i polsi leggendo nel suo programma che insomma lei auspica di fermare immediatamente le Olimpiadi invernali 2026 che insomma sembrano cosa fatta anche con i soliti rallentamenti. Però sembrano un po' cosa fatta. Fosse eletta come quale sarebbe il suo modo di procedere per fermare le Olimpiadi?

Allora, preciso anche in questo caso, non è che noi siamo il partito del no, cioè noi abbiamo un altro modello più sostenibile e meno impattante anche a livello ambientale. Perché tutte queste grandi opere che stanno devastando il nostro territorio sono basate su un modello di sviluppo anacronistico, vecchio, superato, che non tiene conto veramente del cambiamento climatico in cui siamo, che stiamo attraversando a livello mondiale.

E quindi sulla questione Olimpiadi. È un'opera scellerata. Stiamo andando a devastare un territorio per un evento che dura 15 giorni. Fra l'altro mi dicono che porta lavoro. Ma che lavoro porta? È un lavoro precario perché è finito l'evento. La gente rimane a casa, è un lavoro poco sicuro, un lavoro poco retribuito. Io penso che alle Valli dobbiamo garantire un altro tipo di sviluppo più a lungo, anche per lunga durata.

Andiamo a investire su sport che non sono solamente lo sci da discesa ad investire su sci di fondo, ad investire sui percorsi di turismo lento, camminate, trekking. Cioè, se andiamo a vedere veramente le opportunità, ascoltando anche chi ci vive su quei territori. Perché poi il tema è anche quello che mai si ascolta la comunità locale. Le troveremo di soluzioni anche perché si investe in continuazione sullo sci, quando fra un po’ non nevica più.

È una mancanza di lettura della trasformazione della società e del clima. Quindi, il nostro non è una presa di posizione puramente biologica. È capacità di lettura della realtà e proporre, quindi, un altro ipo di sviluppo che crea lavoro ma allo stesso tempo un modo per curare il nostro territorio.

C'è un bisogno pazzesco di andare a sistemare le strade piene di buche, un bisogno pazzesco di andare a intervenire sui tanti dissesti geologici che ci sono in corso. Quindi creiamo lavoro anche per la messa in sicurezza del territorio, per le frane, alluvioni, Ligresti un lavoro buono, stabile e sicuro; quindi, ce ne sono di alternative per creare occupazione.

Posso fare un'altra proposta? Un altro modo che sarebbe anche molto utile e lo dico sempre come slogan, la nostra grande opera è la messa in sicurezza del territorio. C'è un lavoro pazzesco di andare a sistemare le strade, piene di buche. Di andare ad intervenire sui tanti disastri biologici che ci sono in corso. Quindi, creiamo lavoro per la messa in sicurezza del territorio: per le frane, alluvioni.

Lì che resti un lavoro buono, stabile e sicuro. Quindi ci sono le alternative per creare occupazioni che non siano grandi "poi" della logistica o far lavorare per costruire una tangenziale che andrà a devastare in due la Valtellina.

 

In conclusione, lei viene eletta presidente: la prima cosa che farebbe?

La più semplice. Anche quella più urgente e più sentita dalla popolazione è quella di lavorare su liste d'attesa. Dico anche la prima, perché è quella che per noi potrebbe essere anche a costo zero, ovvero incominciare a prevedere una lista unica delle prenotazioni sotto controllo pubblico.

 

Come? perché tutti dicono di volerlo fare?

Il tema è che in questo momento le agende non sono condivise. Noi non sappiamo cosa fa un privato. E allora tu utilizzi il tuo potere di regione. Io non ti do più il trasferimento monetario. Vediamo poi cosa fa un ente privato.