
di Giuliano Molossi
È un fedelissimo, da 39 anni nella stessa azienda, il colosso farmaceutico Roche, presidente e amministratore delegato della filiale italiana che conta 1.200 dipendenti. Maurizio De Cicco, 63 anni, romano, vicepresidente di Farmindustria, si lascia alle spalle un anno difficile come pochi altri. Roche Italia ha chiuso il 2020, segnato da una crisi sanitaria senza precedenti, con un fatturato di 790 milioni, un risultato finanziario inferiore alle attese ma sul quale il Covid-19 ha inciso parecchio.
La difficoltà e la paura dei pazienti a recarsi in ospedale a causa del virus ha avuto un impatto importante sui numeri della Roche. La pandemia e i biosimilari hanno rallentato la crescita dei nuovi prodotti innovativi. Nonostante questo, Roche si conferma leader di mercato in onco-ematologia e crescono anche le quote nelle malattie rare e neuroscienze. Dottor De Cicco, nella lotta a questo maledetto virus a che punto siamo secondo lei? Si riesce a vedere la luce in fondo al tunnel?
"Se sto alle dichiarazioni di Bertolaso secondo il quale a giugno il 70 per cento della popolazione lombarda avrà il vaccino dovrei essere ottimista. C’è un grande punto interrogativo che è quello di capire che effetto potrebbero avere queste mutazioni. Però vedo un grande impegno delle aziende farmaceutiche nello sviluppo dei vaccini, in questo momento ci sono 11 vaccini in fase di test e ce sono circa 30 in studio. Questo mi fa dire che il 2021 sarà ancora un anno in cui dovremo combattere ma certamente verso la fine dell’anno anche gli italiani avranno raggiunto un livello di immunizzazione abbastanza alto"
Questa drammatica emergenza sanitaria ha evidenziato criticità e lacune nel nostro sistema sanitario?
"Nessuno poteva prevedere quel che è avvenuto. Il sistema sanitario nazionale puntava su un ruolo del medico di base che era profondamente diverso rispetto ai bisogni. I pazienti venivano dirottati sugli ospedali che si sono ritrovati con carichi di lavoro ai quali erano impreparati".
C’è poi l’aspetto delle mancate cure e delle mancate diagnosi dei pazienti di tumore e di altre gravi malattie che a causa della paura di infezioni sono stati alla larga dagli ospedali. È così?
"Questo è uno degli effetti collaterali più importanti del Covid-19 che purtroppo ci porteremo dietro per anni, perché si stimano 20 mila morti nei prossimi dieci anni legate alle mancate diagnosi di oggi. Ci sono stati il 40 per cento di ricoveri in meno nel 2020 rispetto al 2019. Nove milioni di visite specialistiche in meno, e solo in ambito oncologico quasi 30 mila diagnosi in meno nei mesi del lockdown"
L’oncologia è ancora l’area terapeutica più importante per voi? E quanto vale sul vostro fatturato?
"Oggi l’oncologia vale oltre il 60 per cento del fatturato. Ma sempre di più l’impegno di Roche è diversificato. Nel 2021 entreremo anche in nuove aree, ci rafforzeremo nell’ambito delle malattie rare dove avremo un farmaco per la Sma, l’atrofia muscolare spinale, che colpisce i bambini più piccoli. Manterremo comunque un ruolo centrale nell’area dell’oncoematologia".
In tema di spesa sanitaria, qual è la vostra proposta per risolvere l’annoso problema del payback?
"Le aziende più innovative come la nostra che lavorano soprattutto negli ospedali sono molto penalizzate. Noi auspichiamo il superamento di un meccanismo che ci ha portato solo lo scorso anno a contribuire con un importo pari al 16% del fatturato. Ci sono due tipi di soluzioni. La prima: tutto ciò che non si spende sul medico di base (il 95 % dei farmaci sono generici), circa 700 milioni all’anno, venga messo nei fondi dell’ospedaliero. La seconda: ogni anno si guarda a quel che è il consuntivo di spesa e si prendono i fondi che ogni anno vengono messi a disposizione e li si mettono dove servono. Se la spesa ospedaliera è quella che è, mi pare giusto pensare di destinare lì i fondi necessari. Altrimenti sarà sempre più difficile convincere le case madri delle grandi aziende farmaceutiche a investire in Italia quando devi ridare indietro il 16% del tuo fatturato".
Il 2020 ha cambiato il nostro modo di vivere e di lavorare. Che impatto avrà per il nostro Paese questo cambiamento?
"Un grande impatto, sia a livello sociale che economico. Noi continueremo a sostenere il sistema sanitario per la sua sostenibilità, a investire in ricerca come abbiamo fatto l’anno scorso con 45 milioni di euro e a sviluppare un approccio innovativo orientato alla digitalizzazione e all’utilizzo dei big data. L’innovazione è nel nostro dna, cercheremo soluzioni innovative in termini farmacologici ma anche servizi tecnologici per rendere le cure sostenibili a 360 gradi"