Lombardia, aumentano donne e minori in povertà: anche chi lavora non arriva a fine mese

Crescono le famiglie in situazioni di povertà estrema, anche tra gli occupati: “Serve un cambiamento del mondo del lavoro. I redditi devono essere adeguati”

La crisi dei redditi delle madri ricade inevitabilmente sulle possibilità di crescita dei figli

La crisi dei redditi delle madri ricade inevitabilmente sulle possibilità di crescita dei figli

Sono sempre di più le famiglie lombarde che hanno gravi problemi di reddito. E non parliamo solo di disoccupati, ma anche di persone che lavorano ma hanno uno stipendio insufficiente a garantire il sostentamento di sé stessi e dei propri figli. Una situazione, questa, che emerge chiaramente dall’ultimo rapporto della Caritas Ambrosiana, stilato sulla base dei dati di quasi 15 mila persone che vivono a Milano e nelle province di Varese, Como, Monza-Brianza e Lecco.

Le vittime: donne, immigrati e minori

I dati provengono dai 137 centri di ascolto territoriali e dai tre servizi diocesani sparsi nelle province sopracitate e sono stati presentati il 29 giugno da Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana. Il campione mostra che a vivere in situazioni di povertà sono soprattutto le donne, pari al 61,4% del campione (+14,5% rispetto al 2021), e gli immigrati (60,9% del campione, +12,7%). E con le donne, le criticità ricadono sui loro figli.

La situazione occupazionale, si legge nel rapporto, “vede ancora prevalere le persone disoccupate (51,8% del totale degli aiutati), ma in ulteriore forte espansione appare il segmento degli occupati (23,3%, valore aumentato del 58,2% negli ultimi 7 anni).

Ciò spiega perché sempre meno chi accede a un centro d’ascolto chieda un lavoro, e sempre più spesso segnali problemi di reddito (69,3% degli utenti, il dato più alto mai registrato in diocesi da quando le rilevazioni sono sistematizzate): tale condizione caratterizza il 71,8% degli utenti italiani (erano il 63,2% nel 2019) e addirittura il 77,5% delle persone occupate che accedono ai centri d’ascolto e ai servizi.

Povertà lavorativa

I bisogni di queste persone sono spesso cronici e relativi a ordinarie esigenze di vita e sostentamento (non a costose emergenze improvvise). Questa “povertà lavorativa” è sperimentata ogni giorno da ben 3 su 4 occupati part time e di quasi 2 su 3 occupati full time. Tra i lavoratori che si rivolgono alla Caritas, quelli con un reddito insufficiente sono spesso impiegati in lavori domestici (25%) e assistenza agli anziani (23%).

“Oggi il lavoro non è più una garanzia – ha spiegato Gualzetti – e questo interroga fondamentalmente il mondo del lavoro e le istituzioni che devono creare condizioni perché il lavoro sia sufficiente per uscire dalla povertà, perché ci sia un reddito adeguato, ci siano dei contratti che non mascherino delle situazioni di lavoro in nero o di sfruttamento”.

Queste persone, ha aggiunto il presidente della Caritas Ambrosiana, “chiedono un’integrazione al reddito, il che rimanda al grande tema delle misure pubbliche come il reddito di cittadinanza che non possono pensare di aggredire solo il lato del lavoro, quindi gli occupabili molte di queste persone hanno una fragilità e una difficoltà nel cogliere le opportunità di lavoro”.

Situazioni critica per bambini e ragazzi

Uno dei problemi principali della povertà è l’impatto che ha sui minorenni. Tra i nuclei con familiari aiutati dalla Caritas – si legge nel rapporto – “3.509 hanno dichiarato di avere figli minorenni: nelle famiglie aiutate dai centri d’ascolto vivono dunque 6.584 minori (di cui il 33% in età pre-scolare). Il 76,5% dei nuclei con minori sono di origine immigrata, il 23,5% italiani; 1 su 4 è monoparentale, e quando c’è un solo genitore esso è quasi sempre donna (92,5% dei casi)”.

La presenza di minori e di spese ad essi associate, d’altronde, peggiora le condizioni di vita della famiglia. Lo dimostra il fatto che l’87,1% dei nuclei con minori che si rivolgono a Caritas ha problemi di reddito e il 70,6% non riesce a far fronte alle normali esigenze della quotidianità.

Inoltre, sottolinea il rapporto, “il 18,2% dei nuclei con minori ha problemi abitativi (residenze provvisorie, coabitazione, case precarie e poco funzionali). Tutto converge nel far ritenere la presenza di figli piccoli o adolescenti un fattore di infragilimento di fronte al rischio di povertà: e d’altro canto, ciò inasprisce la tendenza alla trasmissione intergenerazionale della povertà, che tante ricerche stanno segnalando negli ultimi anni”.