Lavoro, un italiano su tre pronto a licenziarsi. Perché? Il fenomeno del quitfluencer

Un'indagine di Adecco evidenzia i motivi per cui il 33% dei lavoratori è pronto a lasciare il proprio posto

Un italiano su tre è pronto a lasciare il proprio lavoro. Principalmente per cercare un "posto migliore" ma non solo. Ma quali sono le motivazioni legate al fenomeno delle "grandi dimissioni"? Cosa cercano i lavoratori in un nuovo posto? Cosa li lega ad un'azienda? A dare qualche risposta ci ha provato un'indagine svolta da Adecco.

Lavoro e licenziamenti
Lavoro e licenziamenti

Guerra e incertezza

In Italia e nel mondo, l'attuale e crescente incertezza economica sta provocando un ampio fenomeno legato alle dimissioni da parte dei lavoratori, che richiedono un supporto finanziario e una maggiore tutela del proprio benessere.

L'indagine

Secondo la terza edizione della ricerca 'Global Workforce of the Future' di The Adecco Group, player di riferimento nei servizi dedicati alla gestione delle Risorse Umane, a livello globale oltre un quarto (27%) dei lavoratori cercherà di cambiare lavoro nei prossimi 12 mesi.

Le motivazioni

Tra le cause di questo fenomeno, lo stipendio rappresenta il principale motivo per cui i lavoratori decidono di cambiare occupazione. 

Lo stipendio

In Italia, il 61% dei dipendenti ritiene infatti che il proprio salario non sia sufficiente per affrontare l'aumento dei prezzi dettato dall'inflazione. Una situazione comune in tutto il mondo, che comporta, in diversi casi, il ricorso ai pagamenti in nero (35%), la ricerca di un secondo lavoro (51%) o di un nuovo lavoro che abbia uno stipendio più alto (49%).

La vita privata

Per trattenere i talenti nel 2023 e oltre, però, lo stipendio da solo non basta: le aziende devono mettere al centro le persone e garantire regimi di lavoro flessibili, offrendo ai lavoratori un equilibrio più sano tra lavoro e vita privata.

Soddisfazione

I dipendenti italiani, in particolare, sono propensi a rimanere in azienda quando si sentono soddisfatti del proprio lavoro (40%), percepiscono una certa stabilità (38%) o un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata (35%). Infatti, a svolgere un ruolo importante anche nella ricerca di un nuovo lavoro è proprio la richiesta di maggiore benessere: il 75% dei rispondenti predilige datori di lavoro interessati a questo aspetto.

L'analisi

"Il desiderio dei lavoratori di abbandonare il proprio impiego per andare alla ricerca di nuove opportunità lavorative è un fenomeno sempre più diffuso sia a livello italiano che globale - evidenzia Andrea Malacrida, country manager di The Adecco Group Italia -. Le aziende devono rivedere le proprie priorità in termini di un maggiore impegno nei confronti delle persone, non affidandosi esclusivamente allo strumento degli aumenti salariali: l'incremento dello stipendio rimane senza dubbio un elemento trainante, ma va affiancato a iniziative concrete per la tutela del benessere della persona. In tal senso, le imprese devono investire per migliorare l'equilibrio tra lavoro e vita privata e portare avanti confronti costruttivi con i propri dipendenti, riconoscendone il talento e premiandolo: le strategie di fidelizzazione devono essere la priorità assoluta. Al contempo, è fondamentale portare avanti percorsi di formazione, di upskilling e reskilling, per garantire continuità alla carriera professionale di ciascuno e ridare al lavoro uno scopo chiaro e condiviso''.

La carriera

I dati dell'analisi hanno inoltre evidenziato che, tra chi prevede di mantenere il proprio impiego, quasi la metà lo farebbe a patto di ottenere una progressione di carriera. Malgrado ciò, quasi un quarto della forza lavoro (il 23%) non ha mai ottenuto un confronto su questo tema con il proprio datore di lavoro.

Il fenomeno quitfluencer

L'indagine evidenzia anche l'ascesa dei 'quitfluencer'. Più di due terzi dei lavoratori (70%) prendono in considerazione l'idea di licenziarsi se vedono altri farlo, mentre il 50% si dimette effettivamente. Questo ''effetto domino'' colpisce in maggior misura le giovani generazioni, che hanno il 25% di probabilità in più di essere influenzate dai colleghi ad abbandonare il posto di lavoro.

La retention

Le aziende, quindi, devono concentrarsi sempre più sulle soluzioni di retention: di fronte a questa situazione di forte instabilità, investire in iniziative di formazione e avviare percorsi di upskilling e reskilling diventa importante per incrementare la competitività delle aziende sul mercato e, al contempo, favorire la crescita professionale dei dipendenti, contenendo così il tasso di dimissioni in azienda.

Le grandi dimissioni

Le grandi dimissioni hanno portato alla luce anche il fenomeno del 'quiet quitting', letteralmente, in italiano, 'dimissioni silenziose', un'espressione diventata virale sui social network che sta a indicare il distacco mentale ed emotivo dal proprio lavoro.

Il quiet quitting

Il 'quiet quitting', la scelta consapevole di fare il minimo sindacale, non compare in alcuna statistica relativa ai tassi di abbandono del posto di lavoro, ma se non viene individuato può alimentare una cultura tossica in cui i lavoratori sentono di non potersi esprimere liberamente e, quindi, scelgono di non impegnarsi. Le aziende devono prestare attenzione a questa tendenza, creando una cultura proattiva basata sulla fiducia e sul dialogo e fornendo alle proprie persone spazi e strumenti adeguati grazie a cui sentirsi realmente ascoltati e coinvolti.

Cosa devono fare le aziende

Processi mirati, coaching e incentivi sono necessari per creare una cultura aziendale aperta all'ascolto e proattiva nei confronti della salute mentale e del benessere: solo attraverso conversazioni frequenti sarà possibile prevenire questo fenomeno.

La necessità di incentivare questi sistemi di formazione e aggiornamento professionale nel nostro Paese è resa ancora più evidente dal fatto che, rispetto al 61% della media globale, solo il 46% della forza lavoro ritiene di essere in grado di trovare un nuovo impiego nell'arco di sei mesi. Siamo penultimi in questa statistica, molto lontani anche dagli altri Paesi europei: in Germania sono al 70%, in Spagna 55% e in Francia 53%.