La parità di genere è ancora in lista d’attesa

I risultati dello studio IBM-Institute for Business Value

La parità di genere è ancora in lista d’attesa

La parità di genere è ancora in lista d’attesa

di Alberto Levi

IBM ha condotto a livello globale uno studio per indagare il ruolo della donna nel mondo del lavoro, le disparità presenti e le opportunità future. Secondo i dati Istat, su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne: la pandemia ha infatti allargato il problema e soprattutto la disparità di genere a livello professionale. Il “gender gap” è ormai una criticità consolidata, non solo a livello salariale (gender pay gap), ma anche di numeri all’interno delle aziende: nel 2021 saranno sempre meno le donne che ricopriranno ruoli importanti, vicepresidenti, direttori e manager, rispetto al 2019.

In linea con quanto rilevato dall’Istat, lo studio Donne, leadership e opportunità mancate di IBM IBV, Institute Business Value, evidenzia la necessità di un’azione coraggiosa se si vuole evitare il punto di non ritorno per le donne sul posto di lavoro. Per questo, viene suggerita una tabella di marcia per un progresso sostenibile basato su ciò che le organizzazioni progressiste, denominate First Mover, stanno facendo per colmare il gender gap. La pandemia ha messo chiaramente in luce le incredibili pressioni che le donne lavoratrici devono affrontare a casa e nella carriera, ma ancora oggi assicurare l’uguaglianza di genere sul posto di lavoro, attraverso un supporto attivo e una conciliazione dei ruoli della donna, non è una priorità per aziende e manager.

In Italia, il crollo occupazionale è soprattutto un problema femminile da imputare principalmente alla natura del lavoro: le donne sono impiegate in settori che cavalcano la crisi in questo momento e spesso con contratti che conferiscono poca sicurezza e stabilità. Per il 70% delle aziende, colmare il gender gap non è una priorità: l’ottimismo sulla probabilità di progresso scema sempre di più, sia tra le donne che tra gli uomini. Solo il 62% delle donne e il 60% degli uomini intervistati si aspettano che la propria azienda migliorerà in modo significativo il gender gap nei prossimi 5 anni. Le organizzazioni hanno implementato i programmi a sostegno delle donne, ma questi non mirano a cambiare né la mentalità né la cultura aziendale, e soprattutto non colmano le disparità.

Lo studio IBV indica che l’attuale momento storico indica un’incapacità diffusa di intraprendere un’azione immediata e coraggiosa e ciò avrà ripercussioni sul business e sulla società a lungo termine. Gli sforzi dovrebbero andare oltre l’offerta di orari flessibili e opzioni di lavoro a distanza, includendo invece azioni concrete volte a integrare attivamente le donne nei meccanismi aziendali e a creare una cultura del lavoro basata sul supporto che sia di lungo corso, e non solo volta a riparare i danni della pandemia.

Rispetto al 2019, nel 2021 un numero inferiore di donne intervistate ricopre ruoli di apicali. "È necessario dunque intervenire in modo rapido per evitare che la situazione peggiori", ha affermato Bridget van Kralingen, senior vice president, global markets, IBM and senior executive sponsor of the IBM Women&Community. "Dovremo trovare soluzioni innovative e duplicare i nostri sforzi per generare un cambiamento significativo e di lunga durata, che possa aiutare tutte le donne a esprimere pienamente il proprio potenziale".

Lo studio evidenzia anche un diffuso senso di stanchezza e ridotto ottimismo tra i dipendenti a causa dell’inefficacia delle azioni intraprese nel fronteggiare il gender gap. Solo il 62% delle donne intervistate (in calo di 9 punti percentuali rispetto al 2019) e il 60% degli uomini intervistati (in calo di 7 punti percentuali rispetto al 2019) prevedono che la propria organizzazione introdurrà misure significative per raggiungere la parità di genere nei prossimi cinque anni.

Sempre rispetto al 2019 più aziende stanno avviando programmi volti a migliorare equità e inclusione di genere, come gli screening gender-blind e il congedo parentale per le donne. Tuttavia, non sembrano azioni particolarmente efficaci per ragioni di mentalità e resistenza culturale, che non si sono evolute a sufficienza. Ad esempio, un numero inferiore di intervistati concorda nell’affermare che i dirigenti senior sono apertamente impegnati a contrastare i comportamenti e linguaggi discriminatori.