
di Andrea Ropa
La dialisi 2.0 è nata in un container post terremoto della ‘biomedical valley’ italiana. Una storia imprenditoriale fatta di determinazione, coraggio e idee innovative quella di Aferetica, fondata all’inizio del 2014 come start-up nell’incubatore del Parco Scientifico e Tecnologico di Mirandola, nel cratere del sisma che un anno e mezzo prima aveva devastato la zona. L’azienda, che oggi ha sede a San Giovanni in Persiceto, nel Bolognese, realizza progetti esclusivi finalizzati alla depurazione del sangue. Grazie alle partnership con leader internazionali del settore, ha fatto parlare di sé durante i mesi più cupi del lockdown, per i suoi sistemi applicabili ai più gravi pazienti Covid-19.
I fondatori – Mauro Atti, Stefano Rimondi e William Pulga – sono partiti da esperienza e conoscenze accumulate in oltre trent’anni di attività, chiedendosi se fossero possibili altre applicazioni, oltre a quella della dialisi, in ulteriori e inesplorati ambiti clinici. "Siamo parte di un network di ricerca che ci porta a collaborare con le maggiori università e strutture ospedaliere del territorio – spiega Atti, che in Aferetica ricopre la carica di amministratore delegato –. Il settore è quello che viene definito Aferesi terapeutica: si tratta della rimozione di ‘fattori dannosi’ dal sangue, e dagli organi in genere, attraverso sistemi salva-vita".
Può fare qualche esempio dell’attività di Aferetica?
"Realizziamo sistemi terapeutici efficaci contro la Sepsi, patologia gravissima, in terapia intensiva. Inoltre abbiamo messo a punto, proprio in questi mesi, un rivoluzionario sistema di trattamento degli organi destinati al trapianto finalizzato a incrementare il numero di organi disponibili e il successo dei trapianti. L’obiettivo è il ‘ricondizionamento’ degli organi dopo il prelievo, in particolare fegato, rene e polmoni, ovvero un processo finalizzato a riportarli a uno stato e a una funzionalità ideali per il trapianto. Il sistema ha da poco raggiunto la certificazione europea e sta per entrare negli ospedali, in Italia, poi in Europa e nel mondo. Alla base c’è sempre la depurazione del sangue e degli organi dai fattori scatenanti i processi infiammatori. Fondamentale è stata per noi la collaborazione con CytoSorbents, società statunitense, leader nei sistemi salva-vita. Con loro stiamo sviluppando nuove soluzioni, partendo da una resina emocompatibile che può andare a diretto contatto con il sangue e altri liquidi biologici e rendere molto più semplici e applicabili i processi di depurazione anche ad ambiti quali cardiochirurgia, malattie autoimmuni, trasfusionale, gastroenterologia".
Questi sistemi sono applicabili anche contro il Covid-19?
"Possiamo parlare di ‘terapie adiuvanti’ per il trattamento dei pazienti Covid in terapia intensiva. L’adsorbimento delle citochine, ovvero i principali fattori scatenanti l’infiammazione, per contenere con i nostri sistemi le patologie infiammatorie che si scatenano nei pazienti più gravi in terapia intensiva, è stata una delle terapie extracorporee più usate nelle rianimazioni italiane. Grazie ai risultati ottenuti in Italia è stata approvata anche dalla Food and Drug Administration per gli Usa. La combinazione delle competenze dell’eccellenza clinica italiana con quelle del biomedicale può aprire frontiere davvero promettenti".
Quali sono le leve necessarie perché ricerca e innovazione nel biomedicale portino valore aggiunto concreto nelle vite di tutti noi?
"Per quanto ci riguarda, la chiave è stata fin dall’inizio quella che amiamo definire ‘Ricerca collaborativa’. Cioè un processo di collaborazione capace di partire dalle necessità, dalle idee e dalle intuizioni della pratica clinica, dagli ospedali, per arrivare - in partnership con i tessuti produttivi e le strutture di ricerca - alla realizzazione di sistemi terapeutici sempre più avanzati e dalle applicazioni sempre più ampie. Lo abbiamo imparato da Mario Veronesi, il fondatore del Distretto di Mirandola. Il Tecnopolo porta non a caso il suo nome".
Quali sono i numeri del business di Aferetica?
"Abbiamo chiuso il 2019 con un fatturato di oltre quattro milioni di euro e prevediamo di raddoppiarlo entro il 2022. Per quanto riguarda l’occupazione, sono oltre un centinaio le risorse umane impegnate nel network d’imprese che realizzano e producono i sistemi che abbiamo contribuito a ideare".
A questo proposito, quali opportunità vede per i giovani che desiderino crearsi un percorso professionale nel vostro settore?
"Il biomedicale italiano ha fatto scuola nel mondo e può ancora farlo. Giovani specializzati, motivati, capaci di condividere e creare visioni avanzate hanno buone opportunità di crearsi un futuro. La pandemia ha dimostrato che c’è bisogno di nuovi investimenti in tecnologie, apparecchiature, sistemi terapeutici e soprattutto in professionisti preparati, per riportare il nostro sistema sanitario ai livelli di eccellenza. E in questo sarà fondamentale il contributo e l’impegno di tutti".