"Donne al lavoro, un vero affare. È l’ora di cambiare mentalità"

I risultati del dossier elaborato dal Club Ambrosetti per il governo. De Molli: con loro cresce il Paese

Valerio De Molli, ceo del Club Ambrosetti

Valerio De Molli, ceo del Club Ambrosetti

Milano, 29 luglio 2021 - «Se anche realizzassimo l’obiettivo del Pnrr con una crescita del 4%, sull’occupazione femminile resteremmo fanalino di coda europeo e non possiamo permettercelo". Valerio De Molli, ceo del Club Ambrosetti, anticipa la ricetta che il Forum dei 350 dirigenti d’azienda italiani presenterà al G20 il 26 agosto a Santa Margherita. Il documento farà parte del dossier dei primi ministri nella riunione conclusiva dei grandi del mondo, in agenda a ottobre. All’interno ci sono gli spunti di riflessione per accelerare la presenza delle donne in ufficio e in fabbrica. Come nasce la ricerca? "La ministra delle Pari opportunità Elena Bonetti, per conto del governo, ci ha chiesto di fotografare la situazione e di proporre un percorso per risalire la china. Siamo all’ultimo posto in Europa con il 56,5% di presenza femminile nel mercato del lavoro contro il 68,8 della media europea, ma quelle che vorrebbero avere un’occupazione sono il 90%. Solo il 29,5% ricopre posizioni manageriali, mente nel resto dell’Unione è il 35,3%. Sono temi cruciali e chi fatica a capirlo può riflettere sulla nostra stima: più donne al lavoro (pari agli uomini che sono il 68%) significherebbe una crescita della ricchezza d 110 miliardi di euro l’anno. Due, tre manovre". Da cosa dipende tanta arretratezza? "Da un mix di fattori, primo fra tutti un retaggio culturale: il richiamo della famiglia patriarcale è vivo anche nell’era dei social. Sono le stesse donne che a volte pensano di non riuscire a conciliare lavoro e famiglia e con la carenza di servizi che c’è non hanno torto". Come rimediare? "Con più asili e meno nonni fattorini, servono strutture con personale preparato e pagato a dovere, più aiuti alle famiglie e anche più paternità. In Francia così la natalità si è alzata e lavora il 68,2% delle donne". Si può riuscire senza una rivoluzione culturale? "No. Oggi il pregiudizio sulle donne al lavoro riguarda più le piccole e medie imprese. Ed è comprensibile: hanno risorse ridotte. Le grandi aziende invece su questo fronte hanno già cambiato passo. Ora serve una nuova mentalità con un nuovo assetto nei media". Cioè? "La tv di Stato deve essere guidata dalla donne. La trasformazione nasce nell’informazione. Abbiamo sempre in mano lo smartphone, ma è Rai 1 che parla alla pancia del Paese. Ed è lì che tutto muta. L’affermazione delle donne al lavoro è una grande opportunità. É ora di mettersi in quest’ottica".