"Un blackout totale? Ecco perché può accadere. E di cosa c'è bisogno se si spegne tutto"

Intervista al fisico Andrea Aparo von Flüe, docente all'università Sapienza di Roma. I rischi per un'area con 400 milioni di utenti in 30 Paesi

Lavoro a lume di candela durante un blackout (Archivio)

Lavoro a lume di candela durante un blackout (Archivio)

Qualche settimana fa la notizia di un assalto ai ferramenta in Spagna per acquistare bombole di gas e torce nel timore che un enorme blackout potesse "spegnere la luce" nel Paese per giorni aveva suscitato reazioni fra lo stupore e l'ilarità. L'ipotesi di uno stop prolungato alla fornitura di energia elettrica in un mondo iperconnesso e abituato a impiegare le tecnologie 24 ore su 24 pare lontana, anche se l'esplosione dei consumi nel primo periodo della pandemia - seguente anche al ricorso generalizzato allo smart working - è stato uno dei cambiamenti più evidenti nel mondo travolto dal coronavirus. Andrea Aparo von Flüe, fisico, dirigente d'azienda (ha occupato ruoli di responsabilità all'interno della galassia Finmeccanica ma anche in Ansaldo) e docente all'università Sapienza di Roma, dove insegna Strategia aziendali, spiega perché l'ipotesi non è da considerarsi così peregrina.

Professore, perché dobbiamo preoccuparci?

"In Europa stiamo spingendo al limite della capacità il sistema di produzione e distribuzione dell’elettricità. Quanto più ci si avvicina al limite, tanto aumenta la probabilità di una crisi. Ricordando la legge di base di Murphy, ovvero 'Se qualcosa può andare male lo farà', nonché la legge di Drucker 'Se una cosa va male, tutte le altre faranno lo stesso, allo stesso tempo', c’è davvero da essere preoccupati.

Inoltre la capacità del sistema di soddisfare eventuali picchi della domanda è molto limitata a causa della modifica del mix dei modi di produzione. Abbiamo chiuso per motivi economici ed ecologici le centrali a carbone, ridotto quelle ad olio combustibile, aumentato le sorgenti intermittenti, non investito a sufficienza nei sistemi di accumulo. Insomma, abbiamo fatto di tutto per complicarci la vita".

Quali sono le cause che potrebbero provocare un grande blackout?

"Un eccesso di domanda di energia rispetto a quanto viene effettivamente prodotto. Oppure una qualunque interruzione di linea del sistema di distribuzione. Pericoli a cui si aggiungono la criticità sul fronte delle scorte, l’aumento dei prezzi dei combustibili e l’obsolescenza di impianti e infrastrutture".

Quanto potrebbe durare e quali sono le dimensioni dell’area che potrebbe essere coinvolta, se dovesse riguardare l'Europa?

"Per rimettere in piedi l'intero sistema viene stimato un tempo compreso fra i 7 e i 14 giorni. Anche perché il sistema cui facciamo riferimento non si limita alla sola Europa. La cosiddetta 'Area sincrona continentale', già conosciuta con la sigla UCTE, è la più grande rete elettrica al mondo. 400 milioni di utenti in 30 Paesi. Comprende Albania, Austria, Belgio, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo Romania, Repubblica Ceca, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ucraina, Ungheria, nonché Algeria, Marocco, Tunisia e Turchia.

Quali sarebbero gli effetti di questo spegnimento “globale” sulla nostra vita quotidiana?

"Colpirebbe qualunque dispositivo o sistema che per funzionare ha bisogno di energia elettrica. Quindi se non tutto, quasi tutto. Telefoni, Internet, sportelli Bancomat, sistemi di pagamento, semafori, metropolitane, il comparto dei trasporti, ascensori, reti idriche e fognarie, televisione, radio, frigoriferi, lavatrici, lavapiatti, auto elettriche. Consiglio, come gioco da fare, di trovarne il maggior numero possibile".

E se dovesse verificarsi cosa sarebbe necessario avere in casa per passare indenni l’intero periodo di black-out?

"Bisognerebbe avere in casa la dotazione prevista per eventi di emergenza, come terremoti e altre catastrofi naturali. Acqua da bere, almeno due litri al giorno a persona. Cibo. Disinfettanti, medicinali e generi di prima necessità per la cura della persona, carta igienica compresa. Sacchi per spazzatura. Candele e altri dispositivi di illuminazione non elettrici. Combustibile per cuocere e per il riscaldamento. Coperte. Una radio a batterie per eventuali comunicazioni di emergenza. E fatemi aggiungere anche una buona scorta di libri da leggere, giochi di società. E possibilmente una compagnia gradevole".

Ci sono scelte di prevenzione che ci permettono di allontanare questo pericolo?

"Ovviamente sì. Oggi abbiamo più tecnologia che problemi. Esistono combinazioni di soluzioni. Tutte richiedono l'impiego di una buona dose di tempo, salvo la riduzione drastica dei consumi, continuata nel tempo. Un'ipotesi improponibile a meno di mettere a rischio la salute dell’economia.

Serve sicuramente tempo per rendere la rete più resiliente. Occorre costruire nuove centrali, aggiungere elettrodotti, modificare l’architettura del sistema, sia fisica sia gestionale. Ci vogliono grandi impianti per garantire la copertura della domanda di base. Servono impianti di piccola dimensione, dai 500 kW a una decina di MW, come turbine a gas e motori endotermici. Si tratta di dispositivi distribuiti sul territorio, gestiti da operatori locali, da avviare quasi istantaneamente per riequilibrare il sistema, secondo le necessità.

In più necessiteremmo di impianti dinamici di accumulo per gestire l’intermittenza delle fonti rinnovabili, come solare ed eolico. Serve una modalità gestionale avanzata, 'a prova di imbecille', che si avvalga del meglio dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, sotto la responsabilità di un’autorità transnazionale di coordinamento e pianificazione.

Non è poco...

"La realizzazione di tutti questi impianti e programmi va sostenuta con capacità, responsabilità, educazione e formazione degli utenti, volontà politica, consenso sociale, risorse economiche. Per non parlare del tempo".

Ed è proprio questo, forse, l'ostacolo più imponente.