Un’amicizia. Pure quella magnifica. Da quasi trent’anni Serra Yilmaz e Ferzan Özpetek sono un connubio artistico solidissimo. Vien quasi da preoccuparsi quando non la si vede in un film del regista turco. In questo caso però la cornice è teatrale. Di nuovo. Dopo il recente successo di "Mine vaganti". Un adattamento per la scena. Questa volta di "Magnifica presenza" del 2012, il racconto del giovane pasticciere gay appena sbarcato a Roma, che deve fare i conti con l’amore e con i fantasmi che gli infestano casa. Ovvero gli attori di una celebre compagnia teatrale che ebbe parecchi guai ai tempi della Resistenza. Vicenda curiosa. Che Özpetek trasferisce sul palco in maniera corale, affidandosi fra gli altri a Yilmaz, Tosca D’Aquino ed Erik Tonelli. Da stasera al 22 dicembre al Manzoni.
Serra, come descriverebbe il lavoro? "Una specie di favola, dove si vedono e si sentono parlare persone in realtà invisibili. Sono loro che raccontano storie antiche, che ci appartengono. E io interpreto una di loro, la capocomica della compagnia, che nel film faceva invece un mio collega uomo".
Sempre delicato adattare per il teatro. "Cambia il linguaggio, il ritmo. Ma questo offre anche l’occasione per sviluppare nuovi spunti. Su questo c’è stato molto dialogo con Ferzan, aperto alle nostre proposte e a contributi inediti. È come se fossimo avanzati lungo la via. Ma devo ammettere che trasferire in scena mi è sempre piaciuto. In Turchia avevo lavorato sull’adattamento de “La paura mangia l’anima“ di Fassbinder".
Perché in Italia non fa regie? "Pare che non interessi. E io non sono una che combatte per questo, non ho nemmeno il tempo di battagliare, di trovare le condizioni ideali. Già recitare mi rende felice, quindi va bene così. Ma se ci fosse l’occasione lo farei volentieri, magari lavorando su qualche giovane drammaturgo turco, ce ne sono di bravissimi".
Primo incontro con Özpetek? "A Strasburgo, durante una rassegna di cinema turco. Lui ha questa intelligenza incredibile, così fine. Ti scruta curioso. In quel caso mi ha osservata per ventiquattro ore, forse un po’ stupito dalla semplicità con cui riuscivamo a comunicare. E alla fine mi ha proposto un ruolo in “Harem Suare“, dove ci siamo divertiti e abbiamo litigato tantissimo. Perché comunque Ferzan ha un carattere con gli angoli belli spigolosi, lo scontro è inevitabile. La cosa bella è che però anche nel litigio finisce sempre per concentrarsi sull’aspetto buffo della situazione".
Come se si guardasse dall’esterno? "Sì, esattamente. E da fuori quando si bisticcia c’è sempre qualcosa di ridicolo. Se lo cogli, riesci a ridimensionare".
A quale ruolo è più legata? "I primi lavori in Turchia con Atif Yilmaz mi hanno dato tantissima visibilità, film molto amati con cast favolosi, spesso trasmessi in televisione. Ma non credo che avrei avuto la carriera che ho avuto senza “Hotel Madrepatria“ di Ömer Kavur, che presentammo nel 1987 a Venezia. Poi ovviamente le parti con Ferzan che mi hanno fatta conoscere e apprezzare in Italia. Ricordi preziosi. E qui percepisco sempre un grandissimo affetto, una vera e propria gentilezza da parte del pubblico".
Eppure lei rimane un po’ misteriosa. "Io amo i misteri".
È così seduttiva come raccontano? "Non lo so ma certo è meglio non capire tutto, se no uno poi scappa… Finisce l’amore quando ogni cosa è troppo chiara. Un amico della mia età una volta si innamorò di un ragazzo molto più giovane, diceva di aver perso la testa per il suo entusiasmo, la vitalità, quel correre da tutte le parti. Lo descriveva come un piccolo cane. Beh, a distanza di due anni raccontava quelle stesse identiche cose, perfino con le stesse parole, ma con un tono tutto diverso, di chi non ce la faceva più. Mi diverte sempre molto questa classica parabola dell’amore".
Impossibile salvarsi? "Difficile, ogni dettaglio speciale si trasforma in una cazzata. Però con l’età impari a osservare i lati risibili delle cose, a riderci su".
C’è qualcosa che farebbe diverso? "Tutto! Ma mi sarebbe impossibile per come sono fatta, sono troppo me stessa, non riesco a recitare nella vita vera, se c’è qualcosa che mi dà fastidio me lo si legge subito sul viso".
La Turchia? "È sempre la mia casa, ci passo le estati. Ma del resto non vale la pena parlare. Osservo solo che la situazione pare essersi generalizzata, un certo modo di vedere le cose si è diffuso nel mondo".
Meglio rimanere in teatro. "Siamo in tournée fino ad aprile. Poi mi metterò a scrivere. Ho in progetto un libro ma sto diventando pigra, mi devo impegnare di più".