
Il libro de Il Giorno di Gennaro Malgieri
Milano, 25 marzo 2016 - ARMAND-JEAN du Plessis, cardinale di Richelieu, non era quel mostro che una certa letteratura ottocentesca ha voluto accreditare, ma un autentico statista, dotato di forte tempra politica, fedele alla monarchia. Salvò la Francia dall’irrilevanza e contribuì in maniera decisiva a ristabilire quell’equilibrio di cui l’Europa aveva un disperato bisogno nella prima metà del XVII secolo, squassata, tra l’altro, dalla guerra dei Trent’anni il cui esito fu quello di bloccare l’irresistibile ascesa degli Asburgo ai danni soprattutto dei Borbone. E questo fu il capolavoro del cardinale inviso, due secoli dopo, a Victor Hugo e ad Alexandre Dumas, che ne tratteggiò la figura contrapponendolo ai celebri “quattro moschettieri” efficace invenzione romanzesca finalizzata alla demolizione dell’uomo che va annoverato tra i restauratori dello Stato nel momento della sua maggiore debolezza. Il suo “Testamento politico”, completato dalle “Massime di Stato”, ne è la prova più eloquente che ne testimonia anche la straordinaria “attualità”. Infatti viene ripubblicato, nel bel mezzo della crisi politica europea segnata dal declino degli Stati nazionali, dall’editore Aragno con l’eccellente introduzione di Alessandro Piazzi che già nel 1988 riportò il testo di Richelieu all’attenzione traendolo da un lungo oblio. E oggi, come al tempo di Luigi XIII, i suggerimenti del cardinale al suo re risultano assolutamente spiazzanti per coloro che hanno immaginato un ordine civile fondato sull’abdicazione della sovranità statuale. Le radicali soluzioni che Richelieu immaginava e perseguiva al fine di ricomporre l’unità dello Stato prevedevano un accumulo di poteri nella sfera “sovrana” che erano andati disperdendosi in maniera anarchica, si potrebbe dire, minando l’unità della nazione e la potestà del monarca, fino a generare conflitti insanabili tra ordini, categorie, ceti, corpi intermedi. Richelieu riteneva che una nuova organicità statuale dovesse comprendere ed armonizzare tutte le membra sociali nell’ambito di quell’“autonomia del politico” che Carl Schimitt, secoli dopo, avrebbe magistralmente codificato. Indirizzandosi a Luigi XIII, Richelieu ricorda che al momento di assumere la “conduzione degli affari” di Stato la Francia era dilaniata da scontri cruenti. Lui gliela riconsegnava come grande potenza dotata di uno Stato solido e riconosciuto. Un secolo e mezzo dopo la sua morte (1642), per ordine dei rivoluzionari della Convenzione il 5 dicembre 1793 la tomba di Richelieu, nella Cappella della Sorbona, venne profanata e le sue ossa disperse. Il “secolo dei filosofi” dimostrò così la sua cieca crudeltà accanendosi contro il “rosso tiranno” che aveva restituito prestigio alla Francia. ARMAND-JEAN DU PLESSIS, CARDINAL DE RICHELIEU, Testamento politico. Massime di Stato, Aragno