
Monica Guerritore
Ha molta resistenza, Shen Te. O almeno così pensano le divinità mentre l’abbandonano (povera) al suo destino. Ma certo non è da meno Monica Guerritore. Che nel suo omaggio strehleriano, riporta in vita la celebre regia firmata dal maestro nel 1981. Sfida intensa. Quanto impervia. Finora ottimamente accolta. Da scoprire allora "L’anima buona di Sezuan", da stasera al Teatro Manzoni. Con l’attrice romana nei panni della prostituta Shen Te, l’unica ad offrire ospitalità agli dei. Grazie alla loro ricompensa, si sistema in una baracchetta. Ma presto arrivano parassiti e approfittatori. Testo meraviglioso quello di Brecht. Ultrapolitico. Corale. Densissimo.
Guerritore, cosa ricorda di quello spettacolo nel 1981?
"Ricordo tutto. Credo sia stata una delle cose più belle viste a teatro. La sala era strapiena, raddoppiavano le repliche per soddisfare il grande amore del pubblico. Un amore che spero di ritrovare ora qui al Manzoni". Lei lo conobbe giovanissima.
"Avevo 15 anni. Mi volle ne "Il giardino dei ciliegi". Io non ero niente, mi affidai alle sue mani. Può comprendere la mia emozione nell’affrontare questa favola". Come ha ricostruito la regia?
"Seguii all’epoca le prove. E poi ho potuto lavorare sul diario di bordo di una giovanissima assistente, che ha riportato giorno per giorno tutte le indicazioni, compreso il farsi graduale della scenografia e il lavoro sulle luci che ho ripreso sul palco. Sullo sfondo ci sono un sole e una luna che non crescono e non tramontano mai. Mentre gli attori interpretano più di un personaggio, proprio come nella Commedia dell’Arte". Non teme il calco o il tradimento? "La mia regia è fedele nella poetica, non nella tradizione, né nella durata. Ho fatto delle scelte, ho escluso le musiche e non mi interessava andare oltre le due ore e mezza, cosa che si augurava lo stesso Brecht. L’opera per il resto si rinnova, non è certo morta ma non per questo è un calco; la vedo un po’ come la ghianda di Hillman che muta senza perdere la propria natura. Peraltro la riproduzione è la forma su cui si è costruito il nostro sapere. Solo il teatro svanisce. Ma in alcuni casi va trovato il modo di riprenderlo". Brecht all’epoca avrebbe voluto concentrarsi di più sul messaggio. "Se ne lamentava, c’era troppa bellezza in Strehler. Ma è proprio attraverso la bellezza che arriva la dimensione politica. E io la penso uguale. Per questo cerco la stessa dinamica intellettuale ed emotiva con gli spettatori". Ma perché proprio «L’anima buona»? "È un’idea nata ne 2019, dopo il successo di "Mariti e mogli". Ho iniziato a interrogarmi sulla deriva della nostra società, sul perché stessimo diventando così cattivi. Si ricorda quanto già fossimo ringhianti? Io stessa fui minacciata di morte dagli hater. A tutto questo Shen Te risponde con la tenerezza. Con l’amore. È il contesto che ci rende cattivi, dobbiamo avere fiducia nella bontà dell’uomo". Crede quindi nel cambiamento? "Sì. Ma è necessario uno stato sociale che metta le persone al riparo dalla sussistenza, dalla ferocia che nasce dal bisogno. L’uomo che deve proteggersi da solo è un lupo. Brecht ci ricorda che le dittature si fondano sulle necessità del popolo, sulla frustrazione. Questa parte della nostra storia può essere piedistallo per un nuovo modo di vivere la società. Anche dal punto di vista economico".