Milano – «E ricordate che lo squadrone siete voi!" dice ogni sera Max Pezzali al suo popolo svociato da quella notte da lupi nel Bronx che è lo show con cui torna al Meazza domani, lunedì e martedì. Un kolossal da stadi immerso nell’epopea de “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” e “Nord Sud Ovest Est”, grazie ai cori di spalti in deliquio e ai gonfiabili ispirati alle copertine in stile pop art realizzate da Sergio Pappalettera, custode supremo dell’immaginario 883. Per l’idolo pavese questi tre concerti a San Siro rappresentano un po’ il fuoco del primo vero tour negli stadi: "A 56 anni sono uno dei debuttanti più vecchi in circolazione, ma, proprio per questo, ogni emozione vale il quadruplo" ammette lui, con uno sguardo che ha perso molta della meraviglia del primo San Siro, quello di due anni fa, per acquisire la consapevolezza dei grandi numeri. Meglio, comunque, sentirsi supereroi da grandi che da ragazzi "perché età ed esperienza ti consentono di controllare meglio l’emozione", e l’euforia contagiosa della celebrazione di massa. D’altronde quando metti sulla strada uno spettacolo intitolato “Max Forever (Hits Only)” il karaoke extralarge è compreso nel prezzo del biglietto.
La sua è una mega celebrazione degli anni Novanta.
"Gli anni Novanta sono diventati una sorta di decennio infinito, l’ultimo del vecchio secolo e il primo del nuovo, perché raccoglievano una speranza di futuro che arrivava e le certezze del mondo precedente. Un decennio ottimista nonostante le stragi di mafia, compensate però dalla decisa reazione della società civile. Stessa mobilitazione di massa davanti alla tragedia della ex Jugoslavia".
Oggi c’è una sensibilità diversa.
"Ma io sono un “bicchierepienista“ convinto che la maggior consapevolezza degli eventi offerta dal massiccio utilizzo dei social possa aiutare a risolvere le crisi più velocemente. Una volta, infatti, le cose accadevano che senza nessuno lo sapesse in tempo reale, oggi è più facile farle circolare e verificarle, ed è proprio da lì che nasce il mio ottimismo".
Tornando ai Novanta, perché si cantano ancora?
"C’era un mix di ottimismo e inconsapevolezza, di fiducia in quello che il nuovo millennio avrebbe potuto portare. Ecco perché basta ascoltare una canzone, o accendere la tv e trovare una serie tv di allora per ritrovare pure quel tipo di spensieratezza".
Gioie e dolori del live?
"Scegliere le canzoni da mettere in scaletta. Gioia perché è bello avere un repertorio come il mio e dolore perché alla fine arriva sempre qualcuno che ti dice: “Tutto bello, però quella non me l’hai fatta…“ Ecco perché in questo spettacolo, oltre alle hit irrinunciabili, abbiamo dato la precedenza alle canzoni mai suonate prima dal vivo o suonate solo nel tour legato all’album in cui si trovano".
Un esempio di rarità recuperata per l’occasione?
"“Ci sono anche io“, inserita originariamente nella colonna sonora de “Il pianeta del tesoro“, un film uscito non proprio ieri se si pensa che è stato l’ultimo di vera animazione della Disney. Roba di 22 anni fa".