
Libri a confronto
Milano, 10 aprile 2016 - Italia, luogo geografico, comunità di lingua e cultura, popolo, nazione, Stato. E patria. Non sono sinonimi, questi termini, non del tutto. E sul legame tra Italia e patria vale la pena riflettere, in tempi di crisi delle tradizionali identità nazionali e, contemporaneamente, proprio per noi italiani, di rivalutazione della parola “patria”, fuor di retorica e di deviazioni nostalgiche (un merito di Carlo Azeglio Ciampi da presidente della Repubblica, seguito dal suo successore Giorgio Napolitano). Cosa s’intende, dunque, per patria? Lo racconta bene Fabio Finotti, professore di letteratura della Pennsylvania University di Philadelphia e direttore del Center for Italian Studies, nelle documentate pagine di “Italia – L’invenzione della patria”, Bompiani, con un sottotitolo che lega storia ed estrema attualità: “Siamo italiani o lo diventiamo? E come noi, non possono diventarlo altri?”. Si parte dalla leggenda fondativa di Enea, secondo le indicazioni di Virgilio (la patria come entità da costruire, non condizione naturale) e si continua con Dante, il Rinascimento, Mazzini, Manzoni, etc, legando letteratura e arte, mito e storia. E s’insiste sulle “diversità” che segnano la vicenda italiana nei secoli e sulle caratteristiche di un’Italia “accogliente” e “inclusiva”, con un’identità in continua trasformazione. Sino alle sfide di oggi. Ecco il perché della parola “invenzione”. O forse meglio ancora “costruzione” della patria. Scrive Finotti: “La patria non è un dato di fatto che gli uomini si ritrovano pronto tra le mani, una volta per tutte, destinato a restare immutabile nel corso della storia.
La realtà della patria sta proprio nella sua creazione incessante da parte della collettività che in essa si riconosce. Di questa collettività la patria è in un certo senso madre e figlia al tempo stesso”. Con nuove sfide contemporanee. “Abbiamo cominciato il libro osservando che dal punto di vista etimologico la parola ‘patria’ (il luogo dei ‘padri’) si fonda su una relazione tra genitori e figli. Quando i figli sono emarginati, e costretti a una cittadinanza precaria, almeno dal punto di vista lavorativo e quando i genitori sono rottamati, non è la patria stessa che si disgrega? Per l’individuo che deve contare solo su se stesso non esiste la patria ma lo Stato: un’organizzazione più o meno efficiente rispetto alla quale si ha tutto il diritto di ragionare il termini puramente commerciali e relativi di dare e avere”. Bel tema, per un dibattito su storia e futuro. Roma, è un cardine dell’identità nazionale. E ne esplorano i risvolti sei scrittori, Giosuè Calaciura, Gianni Di Gregorio, Antonio Manzini, Fabio Stassi, Giordano Teodoli e Chiara Valerio in “Storie della città eterna”, Sellerio: monumenti e periferie, drammi sociali, favole urbane, le radici nella storia, l’incerto futuro. E la modernità? La racconta Paolo Morando in “80, l’inizio della barbarie”, Laterza, parlando di “anni di soggettività senza interiorità” (la definizione è del Censis di Giuseppe De Rita), descrivendo una stagione di soldi abbondanti e voglia di esibizione, “paninari” e miti della Tv commerciale, moda e ansia di spregiudicate libertà. Sono gli anni in cui l’Italia si scopre ricca e razzista, “vitale e feroce”. Gli effetti perversi arrivano sino ai tempi d’oggi. Tempi di crisi. Le conseguenze le documenta bene Roberta Carlini in “Come siamo cambiati”, Laterza: minori consumi, maggiore incertezza, economia fragile, scarse speranze di ripresa. Da italiani, ci si arrangia a sopravvivere. Magari, cedendo a un sorriso.