
Sotto i bombardamenti di Londra, Leo Gullotta (in alto e sopra) con Betti Pedrazzi viene disturbato da un fantasma
Milano, 9 febbraio 2017 - Meglio stare attenti con le forze occulte. A giocar con le sedute spiritiche. Sia mai che il fantasma della prima moglie inizi a girare per casa. Con l’unico obiettivo di dar noia alla nuova consorte... Così succede al povero Charles Condomine in «Spirito allegro», da oggi al Carcano per la regia di Fabio Grossi. Commedia parecchio british. Firmata negli Anni Quaranta da Noël Coward: Londra era sotto le bombe ma la gente se ne fregava e andava a teatro uguale. Che i nazisti se ne facessero una ragione. Da allora è un classico. E questa volta in scena si ritrova Leo Gullotta, signore del teatro. Qui affiancato da un bel cast dove si segnala almeno la grande Betti Pedrazzi.
Gullotta, com’è il suo “Spirito allegro”? «È il fantasmino dispettoso della defunta prima moglie, che non ha alcuna intenzione di abbandonare casa. In questi tempi volgari, è un classico di grande eleganza e bellezza. Credo che la gente abbia voglia di nascondersi, cedere alla paura. E invece io dico “Uscite!”».
Un po’ quello che disse lo stesso Coward nel 1941. «Esattamente. Erano tempi di guerra ma il testo ebbe subito successo, anche se la critica all’epoca non la prese bene. Con la morte non si scherza in epoca di patriottismo. Da allora è stato ripreso innumerevoli volte. D’altronde ha un perfetto meccanismo comico, conosce molto bene il linguaggio e le dinamiche della commedia, che vanno molto oltre la semplice battuta».
In molti si fermano lì. «È così. Ma qui si può riscoprire il piacere della risata raffinata, leggera, non sgrammaticata. È una commedia che smitizza il concetto di morte, porta positività».
Crede che questo sia un dovere degli artisti? «Credo che esistano molti testi, anche lontani da noi, che ci spingono a riflettere. Due anni fa ho portato in scena “Prima del silenzio” di Patroni Griffi, intellettuale fra i maggiori del Novecento. Una commedia emozionante e poetica, che invece si concentra sulla mancanza di parole, sul linguaggio. E anche in quel caso la gente ci ha seguito con passione, cogliendo l’onestà del progetto. In giro vedo invece tanti lavori furbetti».
Cosa continua a darle il teatro? «Mi offre opportunità affascinanti, grazie soprattutto alla lunga collaborazione con Fabio Grossi. Si condividono viaggi, spesso programmandoli insieme, che sul palco non c’è mai una sola verità. Il teatro è una medicina per la mente, sempre che non ci si metta su un piedistallo, malattia parecchio italiana».
Ne conosce molti di colleghi sul piedistallo? «Non pochi, ma non sono i soli. Basti pensare ai politici. Mi pare che il mondo si stia imbruttendo eppure noi continuiamo ad abbassare la qualità nelle scuole. Ora abbiamo pure Trump, che fra poco farà passare il Ku Klux Klan come un’associazione culturale. Gente che si convince che il mondo gira solo per la propria presenza. E invece il mondo gira comunque».