"Insignificante sotto tutti gli aspetti". Così Cheong considera la moglie Yeong-hye. Fin dal primo incontro. Una donna da cui non è nemmeno mai stato attratto. Ma che sceglie con l’obiettivo di perseguire un’esistenza anonima, distante da ogni emozione. E così sembrano scorrere le loro giornate. Fino a quando Yeong-hye non inizia a fare dei sogni cupi, di animali morti. Che la spingono una mattina a decidere di non mangiare più carne. Questa l’anticamera (narrativa) de “La vegetariana“, il romanzo più celebre del Premio Nobel Han Kang. Nota curiosa: se lo si cerca in questi giorni nelle biblioteche milanesi c’è una fila d’attesa di 150 persone. Che a pensarci un attimo, è un bellissimo segnale. Come d’altronde bellissimo è il libro della scrittrice sudcoreana, da mercoledì per tre giorni sul palco di Triennale grazie a Daria Deflorian, che firma anche l’adattamento del testo insieme a Francesca Marciano. Mentre in scena la regista è affiancata da Paolo Musio, Monica Piseddu e Gabriele Portoghese. Ottimo cast. Per un lavoro di corpi e di parola. Dall’estetica raffinata. Dove la scelta di rottura della protagonista, diviene un percorso di metamorfosi e di cambiamento. Raccontato da tre punti di vista familiari differenti. Perché quella che può essere osservata come un’ormai banalissima decisione individuale, viene giudicata come una sorta di gesto antisociale. Che spinge ai margini Yeong-hye, fino a etichettarla come malata di mente. E il dialogo fra uomo e natura assume contorni simbolici. Aprendo a interrogativi ineludibili.
Diego Vincenti