
Joe Lovano
Milano, 5 maggio 2016 - Colossus del sax tenore. È la prima immagine che associo all’italo americano Joseph “Joe” Salvatore Lovano, che suona stasera al Blue Note con il suo Classic Quartet, prima di proseguire per il festival di Vicenza. Non sono molti i giganti del sax ancora fra noi, citerei Sonny Rollins, Lee Konitz, Wayne Shorter, a cui Lovano ha dedicato l’album “Sound Prints” (Blue Note) registrato dal vivo al Monterey Jazz Festival 2013 con Dave Gouglas. Il progetto, al pari della reunion con John Scofield, non deve far dimenticare questo Classic Quartet dove Joe suona, con Peter Slavov, contrabbasso, Lawrence Fields, piano, Lamy Istrefi, batteria, materiale originale qualche tributo alla memoria. Figlio d’arte, classe ‘52 da Cleveland (Ohio), Lovano ha militato in gruppi e big band, da Woody Herman a Carla Bley, con Paul Motian e Bill Frisell, Steve Swallow e Aldo Romano, Elvis Jones, Herbie Hancock, Charlie Haden, Michel Petrucciani, McCoy Tyner, Ornette Coleman. Scofield e Douglas negli utimi anni. Insegna sassofono e composizione a New York dagli anni Ottanta, ha stupito con un album dedicato a Caruso, si è imposto come la voce più autorevole della sua generazione. Anche se il timbro è duro e secco, a volte terroso, ma fluido e caldo come la sua invenzione melodica.
Padrone sempre di un fraseggio post bop e post free. Inventando una sua dimensione di avanguardia non conflittuale con l’ascolto. A questo proposito, vi suggerisco l’ascolto di “Sound Prints” con il trombettista Dave Douglas, il pianista Lawrence Fields, la contrabbassista Linda Oh e il batterista Joey Baron. “Sound Prints” come “Footprints” di Wayne Shorter, che ha scritto due temi per il guppo, “Destination Unknown” e “To Sail Beyond The Sunset”, commissionati dal Festival di Monterey e presentati al “Jazz at The Lincoln Center” di New York per il Wayne Shorter Festival. Perché fin dai suoi esordi con i Jazz Messengers di Art Blakey, fino a “The Quintet”con Miles Davis, Shorter si rivela compositore di originalissimo talento. Nate Chinen, dopo averli ascoltati al Village Vanguard, li esalta sul New York Times, paragonando l’interplay urbano e urgente di Joe e Dave a un dialogo di David Mamet. Al Blue Note cambiano gli interpreti e parte della sceneggiatura ma permane il fascino di questa visione contemporanea del jazz. Inteso come musica improvvisata che si fa scritta e poi ancora improvvisata, sotto la direzione del sassofonista compositore che ama l’Italia e Caruso.