
Riccardo Inge
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Milano - Atollo di Ari, Maldive. Quella di Bathalaa è l’isola trovata di Riccardo Inge e di un album che guarda a Sud per scivolare tra gli anfratti di una memoria condivisa. Ingegnere edile di Carugate, 35 anni, Riccardo ha attinto il cognome d’arte dalla professione per regalarsi un alter ego da mandare davanti al microfono. "Di giorno lavoro e di notte faccio musica" spiega. "Per rappresentare pure visivamente questo dualismo, all’inizio indossavo un vestito diviso a metà che un annetto fa ho abbandonato perché sviava l’attenzione, abbassando la credibilità delle canzoni. Meglio evitare sovrastrutture". E le Maldive che c’entrano? "Il disco è dedicato a mio padre Egidio, che ha trascorso l’esistenza sognando le spiagge di laggiù ed è riuscito a raggiungerle prima di andarsene. Quindi il titolo evoca la forza del sogno da inseguire, credendoci e sacrificandosi. Tra i cento mestieri fatti da papà c’è stato pure quello della musica; in casa c’era una chitarra 12 corde, ma da bambino non riuscivo a collegarla a lui più di tanto, la folgorazione è avvenuta una ventina d’anni fa, quando gliela vidi suonare in una riunione coi vecchi compagni". Meglio soli o in gruppo? "Assolutamente in gruppo. Il progetto si chiama Riccardo Inge, ma è stato sposato da un’intera band, quindi oggi è come se fossimo diventati ‘i’ Riccardo Inge. Fatti i debiti paragoni, un po’ come accade a Bon Jovi". Come convive il laureato al Politecnico col cantautore? "Il mio approccio con la canzone è assolutamente professionale, ma l’ambiente musicale è molto settario e a volte la doppia attività crea una certa prevenzione. Ma, avendo una famiglia da mantenere, un’attività sostiene l’altra". Tre canzoni da mettere nell’iPhone? "Sicuramente il nuovo singolo ‘Venerdì’ perché unisce i tanti puntini della mia vita, ognuno ha il suo motivo per tornare a casa il venerdì e per me quel motivo è il mio pupotto di otto mesi, l’ho messo pure nel video del pezzo. In una ipotetica playlist metterei anche ‘Fulmicotone’, sulla crisi dei trent’anni che porta tanti a mettere gli occhi sulla ventenne di turno per poi rendesi conto che non vale la pena. ‘Delorean’, invece, cita ‘Ritorno al futuro’ per raccontare come avremmo potuto cambiare la nostra vita se avessimo avuto la possibilità di tornare indietro nel tempo". Il testo che colpisce di più, però, è quello di “Mose” i cui dice che affonderà “…come Venezia” e finirà “…come il Mose che nemmeno funziona”. "È una canzone che racconta il peso di sentirsi, come Venezia, ‘sott’acqua’. L’ho scritta due anni fa quando il Mose era ancora un’opera infinita, poi però è finita e ha iniziato a funzionare".