
Carlo Buccirosso, attore, regista e drammaturgo, 70 anni
Un uomo come tanti. Uscito a pezzi dalla pandemia. Non facile risollevarsi. Ma forse può aiutare il fatto di vivere in un caseggiato un po’ matto. Come capita al povero Cosimo Cannavacciuolo, protagonista de "Il vedovo allegro", nuova commedia di Carlo Buccirosso, da oggi al 23 marzo al Manzoni. Con l’attore napoletano a firmare anche la regia, oltre che in scena affiancato da Gino Monteleone, Massimo Andrei, Elvira Zingone, Davide Marotta, Donatella de Felice, Stefania De Francesco e Matteo Tugnoli. Lavoro corale. Di prosa tradizionale. Dalle atmosfere tragicomiche. Proprio come la vita.
Buccirosso, ha una strana idea dell’allegria. "Avevo una gran voglia di raccontare una storia post-covid. Quello che succedde a Cosimo è successo a tanti: perdere una persona cara, essere in difficoltà con il lavoro. Non ha nemmeno i soldi per pagare il mutuo del suo grande appartamento, dove ha raccolto i pezzi invenduti del negozio di antiquariato che ha dovuto chiudere".
Eppure è una commedia, no? "Certo. Si ride moltissimo, nonostante questo inizio drammatico. E d’altronde il mio personaggio mantiene una sua natura sfaccettata. Che poi è quella terra di mezzo in cui mi muovo sempre, in bilico fra i registri e le sfumature".
Cosa scatena l’intreccio? "Una curiosa richiesta da parte dei suoi vicini, desiderosi di avere un figlio che non riescono ad avere. Mentre intorno si sviluppano altre tre storie d’amore parallele: quella che spera di vivere il mio Cosimo con la cantante a cui ha affittato una delle stanze; il desiderio di matrimonio della figlia del portinaio, che ha una simpatia per il ginecologo del quarto piano; il segreto che caratterizza suo fratello nel rapporto con il padre, una delle tante cose da scoprire in scena". Testo ambizioso, il cast guidato da un capocomico, scenografie: la tradizione è la cornice in cui preferisce lavorare?
"Sì, è un qualcosa che cerco, altrimenti non mi interessa. Ho bisogno di un impianto realistico in cui calare le mie scritture, immaginare subito come possono crescere le emozioni, muovermi in un contesto di compagnia possibilmente con attori che già conosco, per ritagliare le parti su di loro. Come un sarto. Però i temi sono moderni".
Si sente erede di una certa scuola napoletana? "Fino a quando mi accostano a Eduardo per il tipo di teatro o per l’impianto produttivo lo accetto, capisco le ragioni del paragone. Se invece dicono che gli assomiglio come attore mi pare francamente audace. E sorrido".
Lei è un non allineato Buccirosso: ma le piace davvero il mondo dello spettacolo? "Mi faccio fuori da solo, non sono un diplomatico. Non amo la televisione, i tagli, doversi confrontare con 6/7 autori. Anche se mi piace continuare con “Imma Tataranni“, di cui già apprezzavo i romanzi. È il teatro la mia famiglia, il luogo dove ho piena autonomia. Per il cinema invece devi sempre aspettare che ti chiamino e non sempre trovi la situazione in cui puoi portare il tuo contributo. Cosa per me fondamentale, visto che scrivo i miei progetti dal 2002. Comunque ha ragione".
Non è allineato. "Già. E a dire il vero non so neanche bene perché".
A quale ruolo è più legato? "“Noi e la Giulia“ di Edoardo Leo è stata un’esperienza felicissima. E non solo per il David di Donatello che ho vinto, del tutto inaspettato, come si può vedere dal video della serata. Sul set c’era un’atmosfera speciale e Leo mi ha permesso di lavorare sul personaggio, mettendosi in dialogo con me. Una grande soddisfazione. Un legame unico avevo poi con Carlo Vanzina, che è stato il mio riferimento per il cinema, come Vincenzo Salemme lo è stato per il teatro".
Sorrentino le ha però regalato due ruoli strepitosi. "Secondo me “Il divo“ ha qualcosa in più de “La grande bellezza“. Collaborazione preziosa, anche se poi ho declinato l’invito a fare “È stata la mano di dio“. Non è facilissimo lavorare con Paolo, ha una personalità molto forte, devi tenere presente che lui è a tutti gli effetti un protagonista del film. E uno dei più importanti".
Non le vanno un po’ strette le parti da caratterista? "E infatti a teatro i ruoli me li scrivo da solo. Per forza. Se no mi vedono sempre in un certo modo. Anche nel nuovo spettacolo non faccio certo a gara per chi dice la battuta. Ci sono colleghi in scena che fanno più ridere del protagonista. Io evito il cliché. Come le dicevo: sto nel mezzo".
Nei prossimi mesi? "Sto parlando con Enrico Vanzina per un progetto tratto da un suo romanzo. E credo che partirà la nuova stagione di Tataranni. Dovrò poi scrivere tantissimo per la commedia del prossimo anno. Le produzioni funzionano così. Hanno già voluto il titolo, pensa te. Ora devo aggiungerci tutto il resto".