3, 2, 1… Ignition! Il lancio spaziale dell’ultimo album “The final frontier” proietta i Rockets in orbita col tour che, dopo il Capodanno in diretta su Radio Due da Foligno, sbarca nei teatri per depositarli il 10 febbraio pure sul palco del Nazionale. E pensare che lui, Fabrice Pascal Quagliotti, unico superstite della formazione storica, nel 2019 aveva pensato di chiudere con “Wonderland” il capitolo discografico di questa lunga avventura intergalattica, decollata (è il caso di dirlo) col successo internazionale di “Future woman” giusto un paio d’anni prima del suo arrivo. "Poi però il nostro discografico mi ha chiesto un album di cover ed è arrivato ‘Time machine’", spiega il tastierista francese trapiantato sul Lago di Como. "È stata quella l’opportunità per mettere alla prova il nuovo cantante Fabri Kiarelli e, davanti ad una voce come la sua, mi è stato subito chiaro che non poteva finire così. Gli ho chiesto se se la sarebbe sentita di tornare alle radici, con un album orientato sui contenuti di due pietre filosofali della nostra storia quali l’‘album verde’ e ‘Plasteroid’, quindi molto più rock. Ed è andata così".
Avete rinunciato alla calvizie, ma non alla vernice argentata.
"Quella fu un’idea di Claude Lemoine, amante delle cose strambe e nostro primo produttore. Personaggio geniale, che in Francia s’era già inventato i Papoose, gruppo con la faccia pittata e le parrucche colorate. Fu da lì che venne l’ispirazione dei cinque musicisti rasati e argentati".
I costumi sono nuovi di zecca.
"Ci siamo rivolti allo studio di Katia Creative, per realizzare dei costumi fantastici, in linea con l’atmosfera space rock del disco. Tra l’altro lo spettacolo sarà degno del tour di ‘Galaxy’ con una scenografia molto articolata e d’avanguardia".
A proposito di musica, a dispetto dell’aspetto eravate lontani dalle “porte del cosmo che stanno su in Germania” come cantava Finardi.
"Assolutamente. Noi eravamo (e rimaniamo) una rockband. L’elettronica tedesca di Karaftwerk & Co., che adoro, era però tutt’altra cosa".
Quanto influirono promoter e discografici italiani sul vostro successo?
"Per avere successo, devi anche trovare gente che crede in te. E noi avemmo la fortuna d’incontrare Maurizio Salvadori e Maurizio Cannici".
Cosa cambia tra i suoi dischi solisti e quelli col gruppo?
"Quando lavoro alla mia musica non ho paletti e posso spaziare dalla classica a Vangelis, che adoro. E non devo chiedere il parere di nessuno".
Sulla soglia dei cinquant’anni di storia ce l’ha un rimpianto?
"Forse quello di aver smesso di far musica per una decina di anni. Perché poi ho faticato a riprendere, per il resto rifarei tutto. O quasi".
Un pensiero?
"Ad Alain Maratrat, chitarrista dei Rockets e grande amico. Gli ho dedicato l’album e ha pure suonato in ‘Cosmic castaway’, anche se , a causa di una grave malattia, erano due anni che non toccava la chitarra. Un grandissimo regalo, visto che, per me, ancor oggi lui ‘è’ i Rockets".
Lei abita appena fuori Como.
"Sì, a tre chilometri, immerso nel bosco. Anche se Como sta diventando una città per super ricchi e questo non va, perché finisce col toglierle qualcosa d’importante".
Continua ad interessarsi pure del settore immobiliare?
"No, subito prima del Covid ho fatto una scelta ed ora la mia vita corre su un binario solo. Mia moglie Paola invece fa l’imprenditrice, disegna e produce vestiti per bambini. Quindi, possiamo dire che in famiglia gli artisti sono due".