Quali atmosfere sia capace di regalare lo si evince già dal titolo dell’album. "Meigama" in sardo significa pomeriggio. Ma indica in realtà uno stato d’animo, i colori e la calma tipici di quella particolare dimensione temporale. "Li si incontra nella classica pausa del dopo pranzo che, non a caso in Sardegna, è sinonimo di momento speciale", precisa Francesco Medda. Attento e curioso viaggiatore di mondi diversi, dalle culture popolari alla musica elettronica, già artefice - dal 2003 - del progetto sonoro Arrogalla, Medda firma "Meigama" in coppia con Mauro Palmas, strumentista, compositore e ricercatore musicale, dal 1977 impegnato in un’assortita produzione che spazia dalla musica tradizionale sarda alla sperimentazione, fino alle colonne sonore per il cinema e il teatro. "Ero un suo fan da ragazzino", racconta Medda, che a Milano ha accompagnato Michela Murgia in "Dove sono le donne" al Teatro Carcano e atteso a giugno col tour per presentare l’album. "Mi sono trovato a campionare i suoi suoni per alcuni lavori ed è arrivata l’idea di un progetto alla pari".
Un maestro della tradizione e un pioniere dell’elettronica: sembrerebbe un’alchimia difficile. "Io ho portato in dote l’elettronica, lui il suono dei suoi legni. È dagli anni Cinquanta che si fanno esperimenti come il nostro. Amalgamando le diverse sonorità è venuto fuori qualcosa di unitario che rispecchia in modo molto equilibrato le nostre due anime".
Un disco di suoni rarefatti, che richiama i respiri della natura, la musica ambient e i paesaggi sonori della Sardegna. "Non vorrei sembrare presuntuoso ma con questo progetto abbiamo voluto realizzare un’opera colta. Un disco serio, per il quale ci siamo spogliati dei nostri rispettivi personaggi per tornare all’essenza del suono del liuto e alle vibrazioni dell’elettronica. Da "Lugori" a "Note de incantu", qui sono solo gli strumenti a cantare".
"Meigama" è stato presentato come un disco politico. In che senso? "Viviamo in un periodo di saturazione. Noi abbiamo elaborato un messaggio attraverso la musica e deciso di trasmetterlo in modo gentile, mai urlato. È un disco politico perché richiama la tradizione in contrasto con i troppi luoghi comuni e le strumentalizzazioni che sono state fatte della musica popolare. Quella sarda sfocia troppo spesso nel folclore o nell’esotismo. Noi abbiamo privilegiato brani che omaggiano la tradizione come materia viva. Abbiamo scritto balli sardi in minore, quando in genere sono in maggiore; dato voce al mandoloncello per fargli incontrare un’estetica che viene dalla techno come dalla musica contemporanea".
Il viaggio alla ricerca delle vostre radici continua nella copertina dell’album, realizzata in bucchero nero. "Tutte le copie dell’album racchiuse in questa particolare confezione sono pezzi unici. La copertina in bucchero è dell’artista Giampaolo Mameli che ha restituito una dimensione tattile ai suoni dei vari brani. La foglia d’oro e il bucchero sono simboli usati già dai nuragici".
"Campuomu", il brano da cui è tratto il video che fa da lancio all’album, nasce per liuto cantabile ma vive poi di vibrazioni dub. La musica popolare sarda può essere anche musica di consumo? "Molta musica della Sardegna è legata al ballo. I suoi tratti fondamentali sono universali come ha dimostrato Andrea Parodi. Già dieci fa eravamo tanti i produttori di musica elettronica che utilizzavano musica sarda. E io ho portato queste sonorità sui palchi dei festival di tutt’Europa".
Che ne è del suo progetto Arrogalla? "Sono impegnato nel tour con Mauro Palmas, ma il mio progetto va avanti. Sto lavorando a un disco da stampare in vinile basato su una composizione in due tempi, articolata in forma di suite. Una facciata del disco rispecchierà la mia anima più popolare; l’altra quella hip-hop e dub".