
Francesca Michielin
Milano, 17 marzo 2018 - Fra i 2.640 metri di altitudine di Bogotà, meta delle vacanze accantonata per lasciare spazio alla realizzazione del disco che presenta questa sera al Fabrique, e i 120 di Milano ce ne sono 2520 di dislivello. Ma la vertigine non fa paura a Francesca Michielin, che torna nel locale di via Fantoli (ma sarà pure al Gran Teatro Morato di Brescia il 24 marzo) più cresciuta e convinta che nel “Di20are Tour” di due anni fa. Quella di sentirsi più matura dei suoi 22 anni, d’altronde, è una condizione con cui l’eroina di “Vulcano” ha preso ormai confidenza davanti alle responsabilità verso cui l’hanno proiettata esperienze come il secondo posto di Sanremo e la partecipazione all’Eurovision. Le vendite del disco confermano che la sua rimane musica elitaria. Ma di qualità.
Che Michielin fotografa “2640” ?
«Sto vivendo un momento incredibile; la realizzazione del disco ha assorbito tutte le mie energie, lasciandomi dentro un vuoto che la gente sta riempiendo. Un autore non riesce mai a vedere se stesso, sono gli altri con le loro reazioni a definirlo e questo è interessante, molto stimolante. Se gli incontri in libreria per il lancio del disco hanno rappresentato un po’ uno specchio in cui rivedermi, con tutti i pro e i contro del caso, in tour il riscontro si fa ancora più intimo, perché il concerto è il momento in cui mi sento più vulnerabile, più a nudo e sincronizzo il respiro con quello che sta lì ad ascoltarmi».
Con che tipo di spettacolo torna al Fabrique?
«Quanto a luci e grafica si richiama iconograficamente al disco, un palco molto luminoso pieno di strumenti, anche inusuali. L’ho provato a Correggio e poi, all’inizio del mese , tra Milano e Parma, dove ho debuttato ieri sera».
Sulla copertina ci sono tre triangoli colorati. Quello rosso simboleggia il vulcano, l’azzurro il mare, e il verde la montagna.
«Quelli saranno i colori dominanti pure dello spettacolo. Io, infatti, ragiono a colori».
Come fa una timida come lei ad affrontare il palco?
«Mi piace fare dischi, ma poi vorrei quasi nascondermi. Anche se poi, in realtà, amo suonare dal vivo. Sono una fan di Damon Albarn che ha sempre messo prima la musica prima di se stesso. È diventato un’icona perché l’industria gli ha chiesto di farlo, ma lui non è mai interessato troppo e si vede. Così Bjork che in scena come nelle foto intende essere solo un prolungamento di quel che comunica. Pure il mio mito Damien Rice è tutto tranne che social».
Uno dei nuovi pezzi si intitola “Alonso” e strizza l’occhio all’asso spagnolo della McLaren.
«È la ballad più romantica del disco. Ho voluto dedicare una canzone a Fernando perché l’ho sempre visto come uno dei pochissimi piloti a sangue caldo, latino, non freddo e calcolatore come quelli tedeschi o finnici. Molti piloti vengono da un ambiente elitario, mentre Alonso no; un po’ come me che sono arrivata alla musica spinta da mio papà, che fa il falegname. Mio fratello 4 lauree in scienze umanistiche e pure io ho fatto studi umanistici».
Perché un brano sulla Formula Uno?
«L’ho scritto pensando a Cesare Cremonini e alla domenica sentimentale della sua “Marmellata #25”. Per me, infatti, la Formula Uno rappresenta la domenica e le telecronache da vedere in diretta sul divano accanto a mio papà».