
Critica d’arte, 34 anni, da Bergamo al mondo. Ora guida il Museo d’Arte contemporanea di Cavalese "Costruire un dialogo tra opere del Settecento e del giorno d’oggi. Un azzardo, ma ha funzionato".
Elsa Barbieri è preparatissima, perseverante e capace di prendere ogni momento della sua vita con lucidità e ironia. Curatrice e critica d’arte, nata a Bergamo 34 anni fa, ha mosso i primi passi nella sua città natale lavorando nel campo dell’ideazione, della progettazione e del coordinamento di mostre d’arte contemporanea e collaborando, mentre studiava a Bergamo, con The Blank Contemporary Art e BACO – Base Arte Contemporanea; ai Musei di Macerata fino al 12 gennaio 2025 la mostra da lei curata "Vis- à – Vis". Inoltre quest’anno Elsa Barbieri è diventata la coordinatrice artistica del Museo d’Arte Contemporanea di Cavalese.
Quando e come è nata la sua passione per l’arte contemporanea? "Non c’è un quando, piuttosto un perché. L’ho metabolizzato con gli anni, è amore. Da bambina - mi raccontano - intrattenevo lunghi discorsi con le opere che in famiglia si collezionavano. Telefono giocattolo in mano e borsa in spalla, ogni giorno avevo qualcosa da fare con quei quadri e quelle sculture che abitavano la casa. Dico abitavano perché davvero li credevo i “miei amici“. Scelsi d’istinto il curriculum Artistico Visivo della facoltà di Lettere a Bergamo, lì ho incontrato Elio Grazioli, ho proseguito con Michela Rizzo e Ida Pisani".
Quali sono gli artisti, le opere che maggiormente l’hanno avvicinata alla contemporaneità? "Uno dei primi incontri significativi è stato con l’opera di Aldo Tagliaferro “Sopra sotto un metro di terra“. Poi arrivò Tino Sehgal, fui coinvolta emotivamente vedendo la sua performance alla 55esima Biennale di Venezia. L’anno successivo sono stata folgorata da Regina José Galindo, di nuovo una performance; l’intensità fu tale che ricerco sempre la performance, consapevole che, come la prima volta, così sarà l’ennesima, senza il mero ritorno all’identico".
Perché l’arte contemporanea è così ostica alla maggior parte degli italiani e non solo? "Difficile dirlo, l’arte è il mio mondo. Forse uno dei motivi è che comprenderla richiede il tempo di scoprirsi e di accogliersi, sensibili e vulnerabili".
Per capire l’arte italiana è necessario cominciare dall’antichità? "È fondamentale essere curiosi. Si può cominciare dall’antichità o dal presente, indistintamente, o ci si può muovere tra i due poli parallelamente. Quel che conta è essere animati dalla voglia di cercare nuovi mondi e modi di pensare".
Con quale criterio giudica un giovane artista e la sua opera? "Innamorandomi! È romantico, lo so, però è la prima spinta verso l’approfondimento dei valori estetici e della sperimentazione, per me imprescindibili".
Nella sua mostra "Vis- à – Vis", in corso a Macerata, propone un dialogo fra arte antica, classica e contemporanea. Come si possono unire artisticamente secoli e storie così differenti? "Ho affettuosamente definito un grande azzardo quello di cimentarsi con un tema che conduce dritti all’infinita storia dell’individuo. Costruire un dialogo tra contemporaneo e Settecento, insieme ai colleghi Giuliana Pascucci e Massimo Francucci è una sfida immensa, che ha trovato il suo fil rouge nel volto, ritratto o autoritratto, immagine condensata dell’umano. In fase di allestimento sono nati sguardi reciproci, artistici sorprendenti; come quello di Roman Opalka (1931-2011) verso Pier Leone Ghezzi (1674-1755), fra David Reimondo 1973) e Sebastiano Ceccarini (1703-1783): sono sguardi emblematici di come gli esseri umani possano trovarsi in un unico sguardo oltre i secoli".
Per tre anni sarà alla guida del Museo d’Arte contemporanea di Cavalese, in Val di Fiemme. "All’inizio di questo 2024 pensavo di trasferirmi nelle Marche, dicevo “al mare“; invece oggi vivo a 1.000 metri sul livello del mare. La vita, come sostiene il mio compagno, ha più fantasia di noi. E posso dirlo? Per fortuna! Essere alla guida del Museo d’Arte Contemporanea di Cavalese è per me un’immensa gioia. In Val di Fiemme ho trovato una Pubblica Amministrazione entusiasta, come me, e un fidato alleato: la comunità. Ecco come, o meglio con chi, intreccerò l’arte contemporanea e le tradizioni del territorio montano: con tutti loro".
Vuole fare un augurio ai musei del nostro Paese? "Divertirsi, emozionarsi. È un augurio che ho rivolto fin dal principio al museo di Cavalese e che spesso rammento a me stessa".
Quale sogno ha nel cassetto? "Il cassetto è strapieno – sorride –. Sicuramente il sogno che tiene vivi tutti gli altri è quello di continuare a crescere facendo quello che amo, con accanto le persone che amo. Sono romanticissima. Non posso farne a meno!"