DIEGO JONATHAN VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Da monologhi a parole sospese. Proposte di Albe e Teatrino Giullare

Zona di provenienza: Emilia Romagna. Dettaglio non trascurabile quando si parla di ricerca. Ed entrambi sono due pezzi (giganti)...

Una delle scene dello spettacolo. “Lettere a Bernini“ nella. Sala Fassbinder Nuovo testo di Marco Martinelli appena pubblicato da Einaudi

Una delle scene dello spettacolo. “Lettere a Bernini“ nella. Sala Fassbinder Nuovo testo di Marco Martinelli appena pubblicato da Einaudi

Zona di provenienza: Emilia Romagna. Dettaglio non trascurabile quando si parla di ricerca. Ed entrambi sono due pezzi (giganti) degli ultimi decenni teatrali. Tuttavia finiscono più o meno qui i punti di contatto fra le Albe e Teatrino Giullare, così autoriali e così distanti nei rispettivi linguaggi. Come si può scoprire ancora una volta all’Elfo Puccini, che torna ad ospitarli con due lavori in replica fino a domenica 9 febbraio.

Meglio andare con ordine. Partendo da “Lettere a Bernini“ in Sala Fassbinder, nuovo testo di Marco Martinelli, appena pubblicato da Einaudi. Un monologo. Diretto dallo stesso fondatore della storica compagnia ravennate (insieme ad Ermanna Montanari). Mentre in scena si ritrova Marco Cacciola. A lui il compito di dar vita al celebre scultore della Roma barocca. Qui ritratto nell’estate del 1667. Per la precisione il 2 agosto. Un’unica giornata. Neanche fosse il Leopold Bloom di Joyce. E come nell’Ulisse, ne succedono di cose al povero Bernini. Prima furioso con Francesca Bresciani per una questione di soldi alla Fabbrica di San Pietro; poi perso in un’invettiva contro il rivale Borromini. Ma la sua rabbia si trasforma in pietas nel momento in cui arriva la notizia del suicidio dell’artista ticinese. Parola stratificata. Dove il fascino della narrazione alimenta l’indagine sulla contemporaneità. Sull’uomo.

Più intime le atmosfere in Sala Bausch. Eppure livide. Come spesso succede con i progetti di Giulia dall’Ongaro ed Enrico Deotti. Ovvero: Teatrino Giullare. Grammatica di corpi e di pupazzi. Dove Thomas Bernhard è da sempre nel parterre degli autori di riferimento della compagnia bolognese. Che qui ripropone “Alla meta“, forse il titolo più celebre insieme al premiatissimo “Finale di partita“ beckettiano. Un cult. Del 2006. Incentrato sul confronto fra l’umano e l’artificio. Lavoro ambiguo. In cui madre e figlia si preparano per la villeggiatura. C’è un po’ di emozione. Eppure tutto suona già così inutile. Clamorosamente rigido. Deludente.

Diego Vincenti