MONICA GUERCI
Cultura e Spettacoli

Carnevale, le maschere della tradizione lombarda

Lombardia e Milano: Arlecchino e Meneghino sono le più famose, ma ce ne sono tantissime altre legate agli usi e costumi delle città e dei borghi

Truciolo, la maschera del Carnevale di Cantù

Truciolo, la maschera del Carnevale di Cantù

Protagonista del Carnevale è la maschera, che in epoche lontane aveva il compito di tenere lontani gli spiriti maligni, trasformandosi via via in uno strumento per far divertire il popolo. Sin dai tempi più remoti, le persone si travestivano durante il Carnevale per festeggiare e dimenticarsi per qualche ora il rispetto delle regole sociali e le convenzioni. Questa pratica si è evoluta nel corso dei secoli, dando vita a una grande varietà di maschere tradizionali. Meneghino a Milano, Brighella e Arlecchino a Bergamo, Re Resegone e Regina Grigna nel Lecchese, Tarlisu e Bumbasina a Busto Arsizio, Pampaluga a Lodi sono solo alcune delle maschere caratteristiche che si possono trovare in Lombardia. Ognuna ha la sua storia, il suo bagaglio di tradizioni e il suo fascino. Ecco alcune tra le più iconiche e rappresentative della regione.

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Le maschere nella Commedia dell’Arte

Per ritrovare l’origine delle maschere, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo e fermarci alla metà del ‘500 quando in Italia inizia a diffondersi la Commedia dell'Arte, che per i suoi spettacoli utilizzava le maschere: personaggi che tornavano in ogni commedia con lo stesso nome e lo stesso costume, lo stesso trucco, lo stesso linguaggio e soprattutto la stessa indole. Arlecchino, Pantalone, Colombina, Pulcinella e il Dottor Balanzone divennero famosi in tutta Europa. Il declino del Teatro delle Maschere iniziò alla fine del ‘700, quando autori come Carlo Goldoni abolirono le loro avventure grottesche e ridimensionarono il loro ruolo, riducendole a figure di contorno. Scomparse così dalle scene dei teatri, le maschere sono sopravvissute nelle feste e nelle mascherate di Carnevale, e marionette nei teatrini dei burattinai.

BERGAMO

Arlecchino, Casa Museo di Arlecchino di Oneta
Arlecchino, Casa Museo di Arlecchino di Oneta

Arlecchino

Personaggio tradizionale del Teatro dell’Arte, presente in molte regioni italiane, Arlecchino è una maschera di Bergamo nota soprattutto per il bizzarro costume a rombi multicolori che indossa e per il suo essere buffo e scanzonato in ogni occasione. Si dice che in origine il costume di Arlecchino, fosse bianco, come quello di Pulcinella e che a furia di rattoppi, si sia trasformato nel variopinto costume a rombi che tutti oggi conosciamo. La maschera di Arlecchino rappresenta la figura del servo sciocco, chiacchierone, dispettoso e che ama combinarne di tutti i colori. Si muove saltellando, fa piroette, inchini e capriole, inciampa e cade continuamente. A volte è complice del suo padrone, mentre altre cerca di imbrogliarlo. Ha spesso in mano  il “batocio”, il bastone utilizzato per girare la polenta e per condurre le mandrie al pascolo. Quella di Arlecchino è anche una bella favola. Tantissimi anni fa, a Bergamo, viveva un bambino, chiamato Arlecchino. Era molto povero e abitava con la mamma in una misera casetta. Per carnevale la maestra organizzò una bella festa e propose a tutti i bambini di vestirsi in maschera. Arlecchino era triste perché non aveva i soldi per comprare la stoffa per il suo vestito. I suoi amici lo aiutarono regalandogli gli avanzi di stoffa utilizzati dalle loro mamme per cucire i loro costumi, e così anche Arlecchino ebbe il suo costume, il più bello e anche il più originale. Nel borgo medioevale di Oneta in Val Seriana, all'interno di palazzo Grataroli, si può visitare la Casa Museo di Arlecchino. Qui si pensa sia nato il personaggio Zani, antica maschera della Commedia dell’Arte, che ha dato origine alla maschera di Arlecchino.

Gioppino

Gioppino (in bergamasco Giopì) è un’altra maschera bergamasca. Sulla sua origine non si sa molto, le prime comparse risalgono all’Ottocento. Gioppino incarna il contadino donnaiolo, amante del cibo e del buon vino. Dal cuore buono sempre protettivo nei confronti dei deboli e degli oppressi che quando serve diventa scaltro e lesto di mano. Simpatico e furbo, vorrebbe guadagnare di più, faticando di meno. Porta sempre con sé un bastone che serve a girare la polenta e all'occorrenza, a scacciare i furbastri. Ha una corporatura tozza e robusta e indossa un abito verde di panno con decori rossi, un cappello nero e pantaloni scuri alla zuava. Ma soprattutto è reso riconoscibile dai tre grossi gozzi che deformano il suo collo e che lui non ritiene difetti fisici, ma ostenta come gioielli. Li considera le sedi della propria sapienza, affermando: “L’è la tròpa inteligènsa che la ga stàa mia ‘ndèl servèl, e alura ol Padre Eterno al ma la metida che sota” (“È la troppa intelligenza che non stava nel cervello, allora il Padre Eterno me l’ha messa qui sotto”). È sposato con Margì (affettuosa derivazione di Marietta), di cui si dichiara innamoratissimo, e dalla loro relazione nasce Bortolì.

BRESCIA

Brighella

Brighella (in dialetto Brighèla) è una maschera popolare bergamasca. Deve il suo nome e al suo carattere vivace, attaccabrighe, insolente e dispettoso. È il migliore amico di Arlecchino, entrambi sono servi ed entrambi sono nati in provincia di Bergamo. Brighella però ci tiene a precisare che lui è di Bergamo alta, mentre Arlecchino è di Bergamo bassa. L’origine del personaggio quindi, viene da quella parte della città che tradizionalmente ospitava gli abitanti più intraprendenti. Furbo, malizioso, bugiardo, attaccabrighe e insolente, Brighella si diverte a organizzare intrighi ai danni di Pantalone. Il suo abito è una livrea bianca con righe verdi, avvolta da un mantello bianco. Nella metà del '700 circa, con Goldoni, il personaggio si evolve e diventa un servo saggio, sempre scaltro, ma fedele al proprio padrone e pronto ad aiutarlo.

Mezzettino

Mezzettino, è una delle variazioni dello Zanni, l’antica maschera della Commedia dell’Arte. Un personaggio furbo e intrigante, ottenuto dalla contaminazione delle doti di Brighella e di Scapino. Il suo nome sembra derivare dal termine “mezzettin boccale” a indicare la mezza misura. Indossa un costume caratteristico a strisce formate da losanghe colorate disposte verticalmente. Privo della maschera, viene solitamente rappresentato con una chitarra.

Balarì e i Maschèr

I Balarì e i Maschér sono due maschere della tradizione tipiche del Carnevale di Bagolino, una delle più antiche usanze carnevalesche della Lombardia, con musiche, balli e costumi tramandati dal XVI secolo. Ancora oggi i Balarì (ballerini) si esibiscono per le strade del paese, danzano con il volto coperto da maschere di color avorio e inespressive e da cappelli colorati, accompagnati dai violini dei Sonadur (suonatori). Mentre i Maschér (le maschere), sono personaggi di carattere popolare che durante i giorni del carnevale girano tra la folla con zoccoli di legno chiodati e maschere che servono a nascondere la loro identità. Se doveste incappare in uno loro fate attenzione, sono dei burloni e amano prendere in giro e canzonare gli ignari passanti. Un’altra figura importante è il quella del Paiasso, che ha il compito di mantenere l’ordine attorno ai ballerini nel momento delle danze e della consueta “ariosa” finale.

COMO

Bej e Brutt

I bej (belli), i brutt (brutti), la Ciocia, i Sapoeur, la Sigurtà e il Carlisep sono i nomi delle maschere del Carnevale di Schignano. Si tratta di maschere di legno scolpite a mano, rappresentano la divisione sociale tra “ricchi” e “poveri”: da un lato ci sono i Mascarun (i Bej) che rappresentano la classe benestante, personaggi distinti, che indossano vestiti di pizzi e merletti. Dall’altra parte ci sono i “Brutt” goffi, sporchi indossano abiti che richiamano uno stile di vita umile, ricoperti da stracci, pelli di animali e pesantissimi campanacci. Le maschere animano il corteo, e tutti si danno un gran da fare, ma nessuno può parlare, a eccezione della Ciocia, moglie-serva del Mascarun. I Sapoeur sono due figure vestite di pelli di pecora, hanno il ruolo di guidare il corteo, mentre la Sigurta quello di sorvegliarlo. La grande sfilata del martedì grasso si conclude con il rogo notturno del Carlisepp, il fantoccio di Carnevale catturato e portato sulla catasta di legna, che segna l’inizio della Quaresima.

Truciolo

Il Carnevale di Cantù è tra i più sfarzosi della Lombardia, le sue origini risalgono agli inizi del Novecento. La maschera simbolo è Truciolo, un falegname garzone maldestro e distratto che combina un guaio dietro l’altro. Ma la parola truciolo indica anche il residuo di legno che si ottiene durante la lavorazione. È uno scarto, una cosa piccola, semplice, povera, ma non inutile: i trucioli non vanno dispersi ma raccolti per poter essere riutilizzati, per dar loro una nuova vita, una nuova forma. Dietro a uno spirito burlesco Truciolo nasconde un animo nobile, un cuore genuino, pronto a difendere i valori tradizionali di questa terra e a condividere tanta allegria. Truciolo, dal 2000 è diventato anche il burattino della città da una creazione di Ivano Rota, burattinaio, scultore, pittore e scrittore, che lo ha fatto diventare interprete delle storie e delle leggende della Brianza e del lago di Como.

CREMONA

Il Gagèt col sò uchèt

Il Gagèt col sò uchèt è un contadino che raggiunge la città per vendere i suoi prodotti. Per l'occasione, veste un abito nero “scapat”, solitamente quello usato per le nozze e nelle grandi occasioni. Indossa vistose calze e coccarda bianco rossa, i colori della città di Crema. In testa porta un cappellaccio, calza zoccoli di legno, porta il fazzoletto al collo, i guanti bianchi e la gianèta (bastoncino). Caratteristica è l'oca che porta in un cesto. L’origine di questa maschera si deve al concorso lanciato in occasione del Carnevale Cremasco del 1955 per la scelta della tipica maschera cremasca. Vince Paolo Risari, titolare della trattoria degli Angeli in via Mazzini, detta Curt Granda, con il “Gagèt còl sò Uchèt”. Da quel momento il personaggio è diventato l’emblema del Carnevale Cremasco e apre sempre la sfilata. Un personaggio fortunato il Gagèt, frutto dell’attenzione con cui l’oste Cechino osservava l’arrivo impacciato dei campagnoli da Porta Serio. I cittadini ironicamente chiamavano “gagi” quei contadini che periodicamente comparivano al mercato con la curbèla e l’oca. L’oca come il maiale nella vita della comunità contadina Cremasca assume un ruolo fondamentale. L’oca veniva uccisa per la ricorrenza di San Andrea, mentre il fegato era venduto a caro prezzo al mercato, la sua carne si conservava nel grasso in appositi recipienti di terracotta, le olle, e durava fino alla Quaresima.

LECCO

Re Resegone e Regina Grigna

Il Carnevalone di Lecco si contraddistingue per la presenza di Re Resegone e Regina Grigna, che aprono e chiudono i festeggiamenti. I nomi di queste maschere tipiche riprendono quelli dei monti che sovrastano Lecco: la Grigna e il Resegone. Ogni anno a interpretare il ruolo del re e quello della regina del Carnevalone Lecchese sono cittadini scelti per l’impegno sociale profuso nel paese. I monarchi carnevaleschi, infatti, non rappresenteranno solamente il volto dell’allegria, ma anche quello dell’attenzione verso i più deboli, il sorriso di chi si prodiga per gli altri. Nel periodo che precede la settimana dei festeggiamenti Re Resegone, Regina Grigna e il Gran Ciambellano si vestono in pompa magna e fanno visita ai bambini nelle scuole e alle associazioni del paese che accolgono disabili e anziani portando musica e una ventata di divertimento. Il clou arriva il sabato di Carnevale nelle vie del centro dove, dopo essere arrivati a bordo di una carrozza trainata da cavalli, Re e Regina, sfilano e danno inizio ai festeggiamenti.

LODI

Pampaluga

Pampaluga è una maschera del Carnevale di Lodi e del Lodigiano. Il significato del nome e delle sue caratteristiche sono descritte in questa filastrocca in dialetto: “Pampaluga ludesan,larg de buca e stret de man religus risparmiadur quand el bev l’è de buon umur citadin cun el sal en co’, trope tase el paga no per la patria e per el re, Pampaluga chi ch’el ghè!”. Impersona il contadino non con le scarpe grosse e il cervello fino, ma la persona sciocca, vuota, di scarsa levatura, bietolone, gaglioffo. In altre parole un lazzarone, una persona completamente inaffidabile.

MANTOVA

Re Trigol

Il Carnevale di Re Trigol a Mantova non ha radici antiche, ma quelle di una vera leggenda. Non è solo un momento di festa, ma anche l’occasione per far conoscere attraverso la favola di Re Trigol l’ambiente che circonda la città con i suoi tre laghi che mettono in risalto la bellezza della flora con il fiore di loto (nelumbo nocifera) nel periodo estivo e in autunno i trigol, (trapa natans = castagna di lago importata quasi cent'anni fa dal Giappone e felicemente ambientatasi nelle acque mantovane). Il "Trìgol" viene eletto Re con tanto di corte costituita da Regina Natura, Principessa Ninfea, dal Principe Caplàs, Principessa Fior di Loto, dalla Fata, dal Mago, la Strega, Principe Papasìn, Principessa Caresa, il Generale Zanzara, il Cuoco Nebbia, la Spulverina. E’ nella bella cornice delle antiche piazze e dei sontuosi palazzi gonzagheschi di Mantova che prende vita la rappresentazione nella domenica di Carnevale.

Re Gnocco

Re Gnocco è un personaggio tipico del Carnevale di Castel Goffredo, nei pressi di Mantova. Il Re Gnocco viene tradizionalmente eletto ogni quattro anni e nelle giornate del Carnevale gode di pieni poteri ma anche dell’obbligo di far distribuire gnocchi ai suoi sudditi. La sua comparsa si individua a metà dell’800 e resiste ancora oggi alle nuove tradizioni. E’ un personaggio robusto che indossa un mantello di ermellino, una parrucca e una corona. Impugna, inoltre, una grossa forchetta sulla quale è infilzato un grande gnocco. Sul trono nel 2023 è salito Re Gnocco LXIII.

MILANO

Meneghino

Meneghino, “Meneghin”, è la maschera milanese per eccellenza. Il nome deriva da Domenighino, ovvero il servo che veniva usato la domenica. Porta il tricorno, il tipico cappello con tre punte, la parrucca con un codino, la giacca lunga rossiccia e marrone o verde, i calzoni verdi in cima al ginocchio e in fondo le calze a righe rosse e bianche. Sotto la giacca indossa una camicia gialla con i bordi di pizzo e un fazzoletto intorno al collo. Le sue scarpe sono marroni con la fibbia davanti. Già maschera popolare nel '600, Meneghino si presenta sui palcoscenici come servo devoto e ligio agli ordini del padrone, ma anche desideroso di conservare la propria libertà e intollerante a ogni sopruso. Sebbene spavaldo a parole è di carattere bonario e capace di spinte caritatevoli, incline a parlare con gli altri e a fare amicizia. Non nasconde il suo volto, affronta tutti a viso scoperto. Meneghino fa parte della storia di Milano, nella metà dell'Ottocento diventa anche simbolo dell'animo patriottico milanese contro la dominazione asburgica.

Cecca

Meneghino ha anche una moglie, Cecca, il cui nome deriva da Francesca. Ricca di fantasia, dotata di buona volontà e intraprendenza, Cecca serve al meglio i suoi padroni e aiuta Meneghino. Insieme incarnano la tipica coppia milanese che riesce a far quadrare i conti con tanto sudore e astuzia. Anche lei, come il Meneghino, non porta la maschera. Indossa zoccoli in legno, calze azzurre, un grembiule bianco, una veste granata a pois bianchi, un corsetto nero con pizzi e bottoni d'oro, uno scialle e la coroncina tipica brianzola, la raggiera o guazza.

Beltrame

Questa è un'antica maschera di origine milanese. Conosciuto con il soprannome di Beltrame de Gaggian (da Gaggiano), borgata della bassa milanese da cui trae origine, o anche “de la Gippa”, per via della ampia casacca che solitamente indossa. Rappresenta il personaggio del contadino stolto e fanfarone, capace solo di combinare stupidaggini, volendosi mostrare più signore di quanto non sia. Il costume di Beltrame, simile a quello di un servo del XVI secolo, comprendeva una grande tunica, una borsa e un pugnale.

PAVIA

Famiòla

Anche Pavia ha la sua maschera di Carnevale, si chiama Famiòla, rappresenta un pezzo importante della cultura pavese nonostante sia stata quasi dimenticata, ma la sua storia merita di essere riscoperta. Le sue origini risalgono al XVIII secolo, quando la famiglia Colla, specializzata nel commercio di foraggi, arrivò a Pavia. Il nobile e generoso Giuseppe Colla allestì nel suo palazzo un teatro di marionette, dando vita a personaggi alti circa 40 cm e scenografie complesse. Da qui iniziò la gloriosa carriera di marionettisti della famiglia Colla. Famiòla indossava pantaloni, gilet e giacca di panno rosso bordati di bianco, calze a righe bianche e rosse, scarpe nere con fibbia settecentesca, parrucca nera con codino rialzato stretto da un nastro rosso, uno zucchettino rosso sul capo e al collo una vistosa cravatta verde a farfalla, il suo costume rappresentava l’eleganza e la vivacità del Carnevale. Durante l’Ottocento divenne una delle maschere più popolari di Pavia. Le sue parole “L’ai fam”, spesso seguite da “di libertà”, rappresentavano la forte volontà di ribellarsi al dominio austriaco, culminata nel 1859 con la Seconda Guerra d’Indipendenza Italiana. Nel Novecento, la sua fama si consolidò: la maschera prese in moglie una lavandaia, e la coppia ebbe un figlio, Famiuli. Famiòla divenne un assiduo frequentatore delle osterie, pronto a menar le mani con chi offendeva lui o la sua famiglia, un po’ ubriacone ma patriottico divertiva sempre i pavesi ovunque venisse rappresentato.

SONDRIO

Podestà di Mat

Il Carnevàl di Mat di Bormio è una tradizione molto antica. In passato i giovani del paese individuavano il Podestà di Mat (Podestà dei Matti), principe eletto per burla che si sostituiva temporaneamente al Podestà grigione che governava il paese. Il suo regno durava una sola settimana durante la quale il potere vigente era sospeso e l’unica regola era quella di vivere nel piacere e nel divertimento con un unico divieto: quello di dedicarsi alle cose serie. Il Carnevale di oggi è una rivisitazione della Funzione dei Matti di un tempo: il Podestà di Mat prende simbolicamente il posto del sindaco di Bormio per un giorno solo e l’Arlecchino, con la Compagnia di Mat, legge pubblicamente pettegolezzi e lamentele deposte in forma anonima dai cittadini nel corso dell’anno nell’apposita cassetta collocata in piazza del Kuerc.

Carneval Vecc di Grosio (Foto valtellina.it)
Carneval Vecc di Grosio (Foto valtellina.it)

Carneval Vecc

Il Carneval Vecc di Grosio è tra i più famosi della Valtellina. Il nome indica un fantoccio imbottito di paglia con le corna che simboleggia la miseria e i tempi magri da dimenticare. Alla fine della festa, per tradizione, il burattino viene bruciato come rituale di buon auspicio per la stagione del raccolto. Le caratteristiche Maschere del Carneval Vecc sono le vere protagoniste della sfilata carnevalesca, indossano costumi che rappresentano personaggi tipici, ognuno con il suo significato. In prima fila la coppia composta dalle Magra Quaresima e dal Carneval Vecc, una vecchietta magra, vestita di stracci e un signore rubicondo e ben pasciuto, allegoria del passaggio dalle baldorie del Carnevale al rigore della Quaresima, seguita da altri travestimenti popolari tra cui l’Orso e la sua accompagnatrice, la vecchia Bernarda che in una gerla trasporta un Poppante che spruzza la folla con il suo biberon pieno di vino e il Buffone Toni, l’Arlecchino di Grosio. Ad accompagnare la parata ci sono i carri, satirici o fiabeschi, che mettono in scena momenti significativi della vita del paese.

VARESE

Pin Girometta

Pin (diminutivo di Giuseppin) Girometta, non è soltanto una maschera della fantasia creata dal pittore e poeta Giuseppe Talamon nel 1956, si ispira infatti a un personaggio realmente esistito nella campagna varesina del '700. Il Pin Girometta, infatti, era un venditore ambulante che animava fiere e mercati, recitando versi in dialetto bosino e vendendo le "giromette", pupazzetti di acqua e farina decorati con piume e carta colorata e acquistati come souvenir o portafortuna da coloro che si recavano al Sacro Monte di Varese in pellegrinaggio. Il personaggio, alto e snello, indossa una giacca verde scuro, calzoni di velluto nero al ginocchio, calze a righe bianche e rosse e un cappello nero a falde larghe. Inoltre, porta sulle spalle un mantello tipico di viandanti e pellegrini. Oltre alle "giromette", Pin vendeva anche oggetti per il cucito molto ricercati dalle massaie e difficili da trovare a quei tempi nei paesi, come spille, aghi, bottoni e fettucce.

Tarlisu e Bumbasina

Un’altra bella maschera con la sua storia arriva da Busto Arsizio: il Tarlisu, termine dialettale che significa traliccio, è un tipo di tessuto inventato dai bustocchi, presumibilmente nei primi dell'800, usato come fodera dei materassi. Il tessuto venne esportato in tutto il mondo insieme alla bombasina (tela grezza), grazie soprattutto all'opera dal pioniere bustese dell'esportazione cotoniera, Enrico Dell'Acqua che Luigi Einaudi definì il “Principe Mercante". Busto Arsizio, invece, si meritò in quei tempi gloriosi, l'appellativo di Manchester d'Italia. La Famiglia Sinaghina, che organizzava il carnevale per la città, ripropose il Tarlisu, già utilizzato in tal veste nel 1949, come personaggio emblematico a Maschera della Città. Al Tarlisu si è poi unita la maschera femminile la Bumbasina, i due rappresentano la coppia ideale della realtà tessile del territorio bustese. La "Bombasina" era una tela grezza di cotone usata prevalentemente come lenzuola, ma anche per farne asciugatoi e grembiuli per lavori domestici. Una delle caratteristiche di questo tessuto era che tutta la preparazione del filato era eseguita manualmente, in maniera artigianale. Tarlisu e Bumbasina sono proprietà intellettuale della Famiglia Sinaghina.