
Björn Larsson, 72 anni, ha vissuto 40 anni tra Svezia, Danimarca e Italia
Milano, 13 febbraio 2025 – La prima condizione per l’intervista è che sia in videochiamata da Sedriano, dov’è di casa, il “nido d’amore“ di quando viene in Italia. Perché Björn Larsson ha la necessità di incontrare lo “sguardo umano”, dell’altro. In quarant’anni di “pendolarismo” praticato con estrema energia e “per libera scelta”, ne ha incontrati di umani incapaci di ascoltare, di guardarsi negli occhi.
Una vita da pendolare incallito tra Italia, Danimarca e Svezia, per lavoro, per amore, prendendo traghetti, bus, treni e aerei, migliaia di chilometri percorsi osservando le abitudini e anche le “nevrosi“ dei pendolari. Tutto brillantemente raccontato, con leggerezza e un’ironia che talvolta sfiora il comico, nel libro “Filosofia minima del pendolare“ (Iperborea) che l’autore presenta sabato al festival I Boreali al Teatro Parenti, con Federico Baccomo.
Björn Larsson, sono dieci anni che “pendola” fra Helsingborg e Milano, ancor prima due a Lund, tre a Copenaghen, quattro nell’Øresund. Qual è il risultato di tutto questo vagabondare?
“Probabilmente che a finire tra parentesi non è stato solo il tempo trascorso in viaggio, ma anche una serie di parole che implicano l’idea di casa. Ormai, quando scrivo agli amici, ho l’abitudine di mettere fra parentesi il domicilio, i luoghi. Così, concetti come madrepatria, nazione, patriottismo, identità nazionale subiscono la stessa fine. Anche la lingua madre ne subisce le conseguenze: talvolta ho avuto l’impressione che il cervello andasse in tilt dovendo passare dallo svedese all’italiano, dal francese all’inglese. Se vado in Svezia non posso parlare di Sanremo, non lo conosce nessuno. Questo, devo ammetterlo, in parte mi provoca frustrazione: penso che in Europa dovremmo conoscerci meglio, far circolare di più le nostre culture. Sarebbe bello poterci continuamente ispirare. Mi piace Sanremo, ho trovato commovente l’intervento del Papa”.
Vizi e virtù dei pendolari, che differenza c’è fra italiani e svedesi?
“I mezzi funzionano meglio da noi, gli operatori dei trasporti fanno pubblicità per incoraggiare a prenderli, qui non ho mai visto qualcosa di simile. In Italia i pendolari sono puniti per esserlo. Incombono scioperi, direi anche aumentati negli ultimi tempi (sollecitato sul ministro Salvini non risponde ma sorride, ndr) però al contrario gli italiani sono stoici, pazienti, da noi l’impazienza si fa sentire subito, siamo più viziati. Una volta ero su un treno per Napoli che invece di fermarsi lì ha proseguito la corsa, ma i passeggeri non si sono scomposti, io alla fine ho preso un taxi per tornare indietro. Qualcuno dovrebbe occuparsi di più dei 30 milioni di pendolari italiani”.
Nel libro riporta frammenti di conversazioni ascoltate per caso. Ma registra anche l’assenza di dialogo. C’è un prima e un dopo in un cambiamento arrivato “senza preavviso”.
“Quando i cellulari e i tablet hanno preso il sopravvento come fonti di notizie, tutto è diventato molto più frammentato, non è stato più possibile sapere chi leggesse cosa, chi sapesse cosa, chi avesse sentito quali storie. E d’altronde l’altro ieri ero in metro a Milano, colpisce che siano tutti chini sul cellulare. La cosa buffa? Almeno se parli da solo non ti scambiano per pazzo... Le cuffiette ti salvano”.
Gli italiani rumorosi e allegri sui mezzi pubblici, gli svedesi sono forse più composti?
“No, in tal caso sono popoli che si assomigliano. Mentre in Francia, sui treni e sui mezzi, ci sono i genitori che richiamano i bambini ad essere più silenziosi”.
Il pendolare perfetto non esiste, l’errore di valutazione è dietro l’angolo ma lei dà un suggerimento universale: “Prendi sempre il primo treno che arriva al binario, anche se è pieno zeppo e c’è solo posto in piedi. Del futuro non ci si può mai fidare”. È così?
“È ragionevole chiedersi quanto tempo dedicare alla programmazione degli spostamenti. Credo che alla fine sia necessaria una buona dose di flessibilità: quindi se arriva un treno lo prendo perché non è dato sapere”.
Che cosa le piace dell’Italia e degli italiani, e cosa no?
“Vi invidio la capacità di stare insieme, senza formalismi. Non mi piace che si parli tanto di politica, in Svezia conta il risultato pratico”.
Nel libro riflette sull’isolamento durante il Covid, “quando il pendolo aveva smesso di oscillare”.
“Un prezzo alto, calcolato in una moneta che si chiama solitudine... Mi è mancato l’affetto di tutti”.