
Claudio Baglioni al pianoforte
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Mantova - «Buonasera, mi chiamo Claudio e sono tre anni che non faccio un concerto". Scherzando sulla forzata astinenza da palcoscenico, Baglioni ammette che potrebbe essere questo l’incipit dello spettacolo che lo riporta nei teatri, con tappa questa sera al Sociale di Mantova e poi ancora il 18 febbraio a Cremona, il 23 a Como, il 24 a Brescia e il 10 aprile a Bergamo. "Ho fatto altri spettacoli da solo" dice il cantore della maglietta fina, 70 anni, che martedì scorso, a Montecitorio, s’è ritrovato pure votato nel secondo scrutinio per l’elezione del Capo dello Stato.
"Nel 2000 ho fatto un tour nei teatri di tradizione simile a questo, poi un altro una decina di anni fa… Mi trovo a vivere un momento particolare perché a vent’anni sai di avere tutta la vita davanti e di poterti prendere anche delle pause, mentre ora che ne conti qualcuno di più l’assenza dai palchi, il non poter cantare e suonare per un pubblico in sala, si fa sentire". Sessanta repliche in tre mesi fanno cinque concerti la settimana, un ruolino da Stachanov delle hit parade affrontato in totale solitudine per oltre due ore e mezza.
"È uno spettacolo a mani nude, perché ogni sera devo mettere d’accordo il musicista col cantante" dice. "L’idea da cui sono partito è stata quella di dividere uno strumento solitamente unico come il pianoforte in tre parti, in tre strumenti diversi, che proiettati nella dimensione tempo-spazio diventano ieri, oggi e domani, ovvero passato, presente e futuro. La sonorità tipica del pianoforte è, infatti, molto rigorosa, nuda, immutabile nel tempo. Nel piano elettrico, invece c’è un presente che fluttua, si muove come l’aria e l’acqua. Il futuro, infine, sta nella clavinova, più vivace, colorata, con molte possibilità di combinare suoni veri e aggiunti".
“Signora Lia” e “Una favola blu” sono del ’69. Quindi con un repertorio lungo più di mezzo secolo, scegliere ogni sera i contenuti dello spettacolo è una faticaccia. «Certe volte la scaletta vorrei farla con un’estrazione a sorte proprio per non incorrere nella problematica di prendere decisioni" assicura Claudio. "Si combatte, infatti, da una parte con i pezzi cardinali, quelli più popolari, quelli entrati nella memoria collettiva, mentre dall’altro c’è una spinta a dedicarsi ad un repertorio meno consueto. Ogni sera vorrei tenermi tra le 27 e le 30 canzoni. Stare solo sul palco ti consente di navigare a vista, un po’ come le tre caravelle, con la speranza che il viaggio possa portarti alla scoperta di una nuova America, quella di regalare al pubblico un po’ di leggerezza e armonia.
Anche per questo abbiamo scelto come porti sicuri 60 tra i maggiori teatri di tradizione italiani. Ferri di cavallo simili a cortili in cui affacciarsi e raccontarsi nati per il teatro cantato, per il melodramma, a volte occupati da noi che siamo i parenti arrivati più tardi con le nostre canzoni popolari, spesso somiglianti però agli adagi e ai larghi operistici. Molto probabilmente sarà il mio ultimo concerto di questo tipo e vorrei tanto ne restasse un ricordo netto, preciso. Agli altri e a me".
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