
Vincenti Lasciarsi é un cataclisma. Un po’ come quando la terra fu ribaltata dal meteorite e i dinausauri scomparvero. Anche...
Vincenti
Lasciarsi é un cataclisma. Un po’ come quando la terra fu ribaltata dal meteorite e i dinausauri scomparvero. Anche loro abbandonati e sé stessi in un giorno qualunque. Che i disastri mica si annunciano. Come racconta “Asteroide“ di Marco D’Agostin, nuova produzione dell’artista associato del Piccolo Teatro, oggi ancora allo Studio. Un teatro-danza sempre più legato alla parola. Che intreccia la scienza e l’amore. La paleontologia con le vicende di uno scienziato e una spolverata di autobiografia. Il tutto in forma di musical. O meglio: giocando con i suoi canoni paradossali per riderne insieme, convinti che il genere sia "un’esperienza di imbarazzo collettivo". E come dargli torto. Scrittura di grande ironia ed ampiezza, che ammicca al pubblico (pure troppo), a volte crolla misteriosamente ma poi si riprende, forte anche del carisma a basso profilo di D’Agostin. Che tiene in mano tutti. Ipnotico. Lì in mezzo da solo, con due cosine da dire. Curioso come nonostante l’abbondanza drammaturgica, a colpire maggiormente rimanga comunque il corpo. Il movimento. L’aspetto formale e spaziale. La grammatica dei gesti di fronte alla grammatica delle parole. Da ripensare invece la durata complessiva. E il fragilissimo momento di dialogo con la complice in prima fila. Geniale il finale: per capacità di stupire e per l’equilibrio fra effetti speciali, luci, musica. Ma che il lavoro si nutra di un altissimo concentrato di intelligenza rimane indubbio. Lo sa anche D’Agostin. E forse ogni tanto potrebbe essere utile dimenticarsene. Abbandonando il baule di maschere e sovrastrutture. Scoprirsi nudi. Spensierati? Certo un pizzico meno perfettini. Forse più fragili (fragili per davvero). Comunque sia, incredibilmente belli.