Rinascere. Già in sé pare cosa complicata. Figurarsi per dodici volte. Ma d’altronde il teatro é luogo di magie. E qui si parla dell’"Arlecchino servitore di due padroni" del Piccolo, santino laico e spettacolo dei record, considerando che é la produzione italiana più vista al mondo. I racconti delle sue tournée sfociano nel mito. I passaggi di testimone generazionale sono come un respiro sincopato che ha dettato il ritmo di questi 78 anni. Ovvero da quella sera del 24 luglio 1947, quando debuttò a fine stagione con poche aspettative. E invece... Bigino dell’arte strehleriana, il lavoro continua a sintetizzare quel teatro d’arte per tutti che è diventato riferimento teorico del più importante palcoscenico italiano. Con già forte la visione registica che caratterizzerà tutto il secondo ’900. Da sempre poggia su un dosatissino equilibrio fra grandi interpreti e talenti da scoprire. Sensibilità di cui si alimenta questa nuova edizione affidata a Stefano de Luca, in scena da ragazzo e poi a lungo braccio destro del maestro. Mentre sul palco si ritrova ovviamente Enrico Bonavera, da anni protagonista assoluto dopo il regno di Ferruccio Soleri. Insieme ad Andrea Coppone e a un vivace gruppo di allieve e allievi diplomatisi alla Scuola del Piccolo, nell’ultimo triennio diretto da Carmelo Rifici. A loro il compito di portare energia alla storica regìa strehleriana. Che da stasera al 17 novembre torna al Piccolo Teatro Grassi di via Rovello.
"È uno spettacolo carico di ricordi – spiega de Luca – e allo stesso tempo di quel gioioso e necessario oblio che solo la gioventù può regalare. Un gioco semplice, antico come l’uomo, territorio in cui infanzia e rito ancestrale si incontrano nella gioia del mascheramento, orchestrata dalla partitura di gesti e movimenti studiati da Strehler perché le singole personalità fossero al servizio di un’armonia d’insieme. Può essere considerato un meraviglioso anacronismo o uno spettacolo acronico, fuori dal tempo. Io ho cercato di preservarne lo spirito più che la lettera. Ho voluto sottolineare il valore di quell’atmosfera speciale, ispirandomi proprio all’Edizione del Buongiorno: uno spazio vuoto, onirico, di effetti a vista, che raggiungeva già all’epoca un’astrattezza modernissima. Per un Arlecchino analogico, a lume di candela, con questa recitazione non realistica, lontana da quello che i ragazzi e le ragazze hanno studiato in questi anni". Bella sfida. Che ha qualcosa del piacere di ascoltare un buon vinile, come si raccontava per l’anteprima speciale dello scorso luglio, in occasione dell’anniversario. Domani il debutto in stagione. Un’edizione molto young. Con l’Arlecchino ancora una volta pronto a cambiare (quasi) tutto. In perenne movimento. Eppure in fondo sempre uguale a sé stesso. Forse è proprio questione di fame.