ANNA MANGIAROTTI
Cultura e Spettacoli

Altan e la Pimpa, 50 anni di fedeltà: “La creai con mia figlia in braccio”

L’autore festeggia la cagnolina amata da ragazzi di ogni età: “Apparve sul foglio in un viaggio a Milano”

Francesco Tullio Altan (a destra) con Massimiliano Finazzer Flory a Milano per la rassegna ’Un viaggio! Da fare 2025’ A sinistra la Pimpa, la cagnolina a pois nata nel 1975 sul ’Corriere dei piccoli’ Da 50 anni un’icona del fumetto italiano

Francesco Tullio Altan (a destra) con Massimiliano Finazzer Flory a Milano per la rassegna ’Un viaggio! Da fare 2025’ A sinistra la Pimpa, la cagnolina a pois nata nel 1975 sul ’Corriere dei piccoli’ Da 50 anni un’icona del fumetto italiano

Milano, 16 febbraio 2025 –  Se è vero che Francesco Tullio Altan esce dal suo castello di Aquileia solo con la luna piena, irrinunciabile l’occasione d’incontrarlo a Milano, ieri mattina, alla Libreria Mondadori Duomo, coinvolto da Massimiliano Finazzer Flory nella rassegna “Un viaggio! Da fare 2025” (verso Gorizia-Nova Gorica capitale europea 2025 della Cultura, per la prima volta transfrontaliera).

Ci voleva la Pimpa per far scendere il suo disegnatore fin qui dal Friuli Venezia Giulia?

“Compie 50 anni, infatti, la mia cagnolina a pois: il 13 luglio 1975, sul ’Corriere dei Piccoli’, la prima storia (invece di dormire, voleva vedere la luna ndr). E incominciano i festeggiamenti ufficiali”.

Era nata prima, dobbiamo dedurre?

“Sì, due anni prima, durante un breve viaggio a Milano, disegnavo con la Kika, mia figlia di 2 anni, in braccio. Quando è apparsa sul foglio la Pimpa. Protagonista poi di 1.200 storie... Ora ha un mensile tutto suo. È una bravissima tata”.

Ma perché, lei, Altan, da Milano (dove oltretutto si è sposato) volle andarsene?

“Avevo trovato mia moglie Mara, la mamma brasiliana di Kika, con la valigia bella e pronta: ne aveva abbastanza! Vivevamo in fondo a via Forze Armate. Intorno, una desolazione. Per portare la bambina all’asilo, doveva attraversare un accampamento di nomadi, in mezzo alla nebbia d’inverno”.

A parte il Brasile, meglio dove?

“Nella casa di famiglia ad Aquileia, dove eravamo già stati a passare le vacanze. Un po’ malmessa. Mio padre (Carlo Tullio Altan, uno dei più grandi antropologi italiani, studioso del familismo ndr) fece eseguire i lavori necessari dopo il terremoto del 1976. È diventata la nostra casa”.

Milano resta una realtà importante per il lavoro, gli ininterrotti rapporti con gli agenti...

“Certo, Milano è una città seria. Io ci sarei rimasto, come dappertutto, del resto, mi sarebbe andato bene: sono uno che lavora di notte. Ma Aquileia è una radice ritrovata”.

Bella, la bassa friulana, da girare in bicicletta.

“Da cima a fondo l’ho girata. E poi c’è vicino il mare di Grado, dove mi hanno portato fin da bambino, e dove sono andato tutti i giorni con mia figlia piccola. Nuotare mi piace, anche per ore... ”.

Dobbiamo però tornare a Milano per fare la conoscenza anche del metalmeccanico Cipputi.

“Pure lui nato nel 1975, un po’ in mezzo agli altri personaggi che facevo per ’Linus’. Un qualcosa di gaberiano, di jannacciano, per il nome. Da Cerutti Gino, per assonanze successive, sono arrivato a Cipputi”.

Un grumo di saggezza negli anni di piombo.

“L’ispirazione poteva essermi venuta da qualcuno incontrato per strada o in tram. È stato riconosciuto come vero. Vittorio Foa scrisse che Cipputi non era l’emblema della classe operaia, ma il rappresentante di chi fa bene il proprio lavoro, sa di farlo bene, è fiero di farlo bene. Credo che ce ne siano ancora”.

Di videogiochi dice di non intendersene, né si avventura a dare opinioni. Ma su Dio perché no?

“Il mio Trino, su ’Linus’ con regolarità dal febbraio 1974, è un pasticcione al quale 6 giorni ha dato il Committente molto milanesemente commendatorizio, e un settimo per riposarsi dopo la creazione”.

Venuta male.

“Furiosa, la reazione: ‘Ma come! Guardi che io spendo dei soldi!’ e ‘Cosa crede, che sia italiano?’ aggiungeva il Committente”.

Cosa non l’ha fatta sentire italiano, Altan, a Firenze?

“Era una città che respingeva gli ‘stranieri’, come noi bolognesi, venuti all’Università, abitanti in un’altanina da cui si usciva di notte a passeggiare sui tetti”.

La sua matrice è bolognese?

“Bologna, dove la mamma mi portò nel 1950, segna la mia formazione: la bravissima professoressa di disegno delle medie è l’unica maestra che riconosco nel mio campo. E a Bologna, in Salaborsa, dal 30 marzo, la Pimpa andrà in mostra per due mesi”.