Achille Lauro: "Sono un rapper di borgata, tra la suburra e sogni glam"

Con quel nome da transatlantico, è tra le realtà del rap italiano riuscite negli ultimi anni a trovare meglio la rotta

Classe ’90, Lauro De Marinis ha scelto il nome del transatlantico affondato

Classe ’90, Lauro De Marinis ha scelto il nome del transatlantico affondato

Milano, 24 giugno 2018 - Con quel nome da transatlantico, Achille Lauro è tra le realtà del rap italiano riuscite negli ultimi anni a trovare meglio la rotta. Nato Lauro De Marinis, l’uomo di «Barabba» ha collaborato con Gemitaiz, Nyoz Narcos, Coez, Marracash e, nel recente singolo «Ammò», con Rocco Hunt e Clementino. Aveva solo 4 anni quando nel ’94 la nave di cui porta il nome colò a picco, per un incendio, al largo della costa somala. Il destino dello scafo che giace inabissato a 5 mila metri di profondità non sembra impensierire l’artista romano, che oggi incrocia prima Varese Dischi (alle 14.30) e poi il Mondadori Megastore piazza Duomo a Milano (alle 18) per raccontare il nuovo album «Pour l’amour», quarta fatica in studio «per metà samba trap e per metà esperimenti che ho fatto con il produttore Boss Doms», di una «traversata» iniziata quattro anni fa. «Il nome l’ho scelto pensando alla nave, ma anche al suo armatore e al sospetto che in occasione delle elezioni politiche usasse il metodo di regalare ai suoi elettori una scarpa sinistra prima del voto e quella destra solo dopo», spiega Lauro, atteso il 5 luglio alle Feltrinelli di Monza (14.30) e Brescia (18.00) con l’inseparabile Doms.

«Pour l’amour» è il primo capitolo di una trilogia.

«Per realizzarlo, con Boss Doms abbiamo scelto di isolarci completamente, chiudendoci in un villone, assieme ad altri 15-20 musicisti, per produrre in due mesi materiale sufficiente a riempire non uno, ma tre album. Abbiamo da parte un’altra ventina di pezzi; questo, dei tre, è il disco con i brani più modaioli, club e glam, perché gli altri sono tutti immortali».

La copertina è molto alla «Velvet Goldmine».

«Effettivamente per noi che ci rifacciamo ad una filosofia anni Settanta quel film è stato fonte di grossa ispirazione. Amiamo il tipo di sperimentazione, di visione, di ambiguità in voga a quel tempo».

«Bulgari» si ispira ad un immaginario da suburra romana, tra fiction e cronaca nera.

«Il pezzo racconta il sogno di un mondo esageratamente sfarzoso, eccessivo, kitsch, contrapposto alla nostra vita, che non è stata una passeggiata. Molti rapper nostrani s’ispirano ad uno stereotipo d’importazione come quello gangsta, ma per noi che veniamo dalle periferie difficili della capitale è molto più vicino un immaginario di altro genere».

Dichiarare di scrivere «solo ed esclusivamente sotto l’effetto di stupefacenti» è molto bohémien, ma un po’ fuori tempo massimo.

«Penso che la droga sollevi delle barriere, tolga dei freni inibitori e possa quindi rivelarsi utile. Sia chiaro che non ti devi sfondare di sostanze, ma usarne solo il minimo indispensabile per far aprire il chakra e lasciar passare le cose più intime e nascoste. Conoscendo il problema della droga, mi guardo bene dal propagandarla. Ne uso un po’ solo per comporre. Punto. Per il resto non prendo neppure le medicine quando sto male».

L’anno scorso siete arrivati terzi a «Pechino Express».

«Anche se si trattava di un programma tv, di un gioco, è stata un’esperienza formativa perché non si svolge in un villaggio turistico, ma in mezzo alla gente. Il contatto con culture lontane è sempre esaltante».