L’odissea dei bambini zombie prigionieri dei videogame

Milano, in aumento i casi di dipendenza patologica di ALESSANDRO CRISAFULLI

Smartphone o tablet

Smartphone o tablet

Di solito, tutto inizia quasi per... gioco. Un padre o una madre che fanno avvicinare un figlio piccolo, molto piccolo, a un tablet, a una consolle per videogame. «Lui impara e si distrae, io faccio i mestieri», si dice. Spesso è vero. Ma quando le cose vanno male, vanno davvero malissimo. Perché sono soprattutto i giovanissimi le persone più esposte all’alto rischio di sviluppare una dipendenza psicologica dal videogioco. Una dipendenza vera, che – dicono gli esperti – fa ammalare tra il 4 e il 6 per cento dei preadolescenti, alcuni dei quali diventano più aggressivi, chiusi in se stessi. Qualche esempio. Luca (nome di fantasia), 14 anni, è seduto in bilico sul davanzale della finestra. «Sentiva di volersi buttare giù dopo che i genitori gli avevano portato via il computer – racconta Paolo Giovannelli, psicoterapeuta della Statale di Milano – Ora sta bene, ha ripreso la scuola, ha scoperto nuovi amici e nuove possibilità». Fabrizio invece è arrivato alla dipendenza all’età di 19 anni: «Si é letteralmente barricato in casa – spiega lo psicoterapeuta - in sola compagnia dei suoi strumenti tecnologici. Non apre più a nessuno. Noi andiamo lì e, da dietro la porta chiusa, iniziamo un percorso di cura». C’è poi Sofia, che ha 16 anni ed «é disperata», dice Giovannelli, dopo gli insulti ricevuti via Facebook. «Insieme, adesso, gradualmente, stiamo ricostruendo un mondo di amicizie ed affetti in ‘carne ed ossa’». La maggior parte delle volte sono i genitori, a chiedere aiuto. A volte, gli stessi ragazzi.

Milano, 1 marzo 2016 - C'è quello che scende le scale e cade, perché stava finendo un «attacco con i barbari». Esce per andare a messa e si accorge di aver messo i pantaloni al contrario. Deve andare a calcio, lo sport che adora, ma fa tardi e sbuffa, perché voleva concludere la partita, quella virtuale. O ancora a scuola balbetta, perché i compiti passano sempre in secondo piano. E gli amici preferisce incontrarli on line. Sono sempre più i bambini «zombie», schiavi del loro universo digitale. Perché, come tutte le dipendenze, e questa è ormai accertata da anni, può portare fino a fenomeni drammatici. «Attenzione, c’è il rischio che anche qui, presto, avremo il primo ragazzo morto da overdose di web, come già successo in altri Paesi tecnologicamente più avanzati», avverte Paolo Giovannelli, psichiatra e psicoterapeuta, docente della Statale, che ha fondato a Milano il primo «Centro per i disturbi da uso di Internet»: una realtà unica in tutto il Nord, con sei specialisti interni e 20 collaboratori sul territorio, che spazia dalla dipendenza da cellulare a quella dal sesso virtuale, dalle ludopatie alla dipendenza da Facebook, dallo shopping compulsivo on line fino, appunto, alla dipendenza da videogiochi.

Giovannelli, quanti sono i ragazzi già nel tunnel e quali sono i sintomi?

«Dalla nostra esperienza clinica possiamo stimare che il 4% - 6% dei preadolescenti ed adolescenti è affetto da un disturbo di dipendenza da Internet. In primis da videogiochi, seguita a distanza da social network e da pornografia on line. I sintomi di solito sono il calo del rendimento scolastico, il ritiro nella propria stanza, la perdita di interesse per sport e hobby, l’aggressività nei confronti dei genitori».

Come agire?

«C’è bisogno di intervenire con una diagnosi clinica, mai col fai-da-te. Che spesso, per fortuna, tranquillizza i genitori, perché non c’è nessuna dipendenza ma solo un abuso. Se invece viene accertata la dipendenza bisogna agire prima possibile».

Ci sono età, momenti, situazioni più a rischio?

«Sono quelle di passaggio, ad esempio dalle elementari alle medie alle superiori. Perché il ragazzino è sottoposto a uno stress maggiore, a difficoltà, e quindi magari compensa rifugiandosi in un videogioco».

Quali sono i più pericolosi?

«Ci sono i giochi di violenza, gli “sparatutto”: spazzatura. Propinano una violenza fuori misura, concreta: vanno limitati più possibile. Poi ci sono i giochi di ruolo e strategia, dove si rimane intrappolati per mesi, per anni. Hanno meccanismi di fidelizzazione studiati, ti rapiscono per ore. Poi, i peggiori, sono quelli in cui tempo reale e tempo virtuale vanno di pari passo: il bambino si sveglia per eseguire delle attività notturne nel gioco. Salta la scuola, non riesce più a uscire dal personaggio».

Molti genitori agiscono d’impeto, facendo sparire i dispositivi. È corretto?

«Assolutamente no. È come togliere la borraccia a una persona che si è smarrita nel deserto. Può essere molto pericoloso perché un ragazzo dipendente trova benessere e sollievo nei videogame e, in assenza, può arrivare a una sofferenza altissima e persino a gesti autolesioniosti».

Quindi, qual è la soluzione?

«Una riduzione progressiva. regole nell’uso e nell’orario».

Seguite casi diventati molto gravi?

«Abbiamo ragazzi che sono arrivati a ritirarsi da scuola, che non escono più dalla loro stanza, che diventano violenti e minacciano gesti forti. Dobbiamo andare a trovarli a casa e fare un lavoro intenso, con loro e con i genitori».

di ALESSANDRO CRISAFULLI