Sfide pericolose e adolescenti, cosa fare? Ecco il vademecum per le famiglie

Con challenge e giochi, i ragazzi si mettono alla prova per superarsi, ecco i consigli di Pepita Onlus

Per molti giovani filmare il rischio è diventata una pericolosa prassi

Per molti giovani filmare il rischio è diventata una pericolosa prassi

Milano, 18 settembre 2018 - La sfida non fa paura. La morte neppure. E così i i ragazzi perdono di vista il valore della vita e si spingono oltre per provare al gruppo che ci sono, esistono. Poi la loro esistenza sfuma in un errore fatale. Le sfide arrivano dagli amici, dalla voglia di farsi selfie estremi per stupire e sperimentare. Le sfide arrivano anche dalla rete attraverso gruppi segreti, in cui basta un tag di un amico per accendere il bisogno di provare. Andare oltre e mettersi alla prova rientra nelle caratteristiche degli adolescenti ed è il loro modo per entrare nel mondo adulto e farsi strada affrancandosi dalla famiglia. Ma in questo caso c’è un pensiero distorto, una propensione a spingersi oltre il confine senza conoscere le conseguenze a cui si può andare incontro.

Le ultime in ordine di tempo sono costate la vita a un quindicenne in un centro commerciale in provincia di Milano, che era salito fin lassù con alcuni amici, forse per scattare un selfie dal tetto del cinema e qualche giorno fa a un quattordicenne di Milano che ha sperimentato la Blackout Challenge comprimendosi la carotide per provocare uno stato "temporaneo" di soffocamento e provare poi l’euforia del risveglio.

“Sono frequenti le notizie di sfide – ha spiegato Marco Bernardi, psicologo psicoterapeuta e responsabile del Centro Studi di Pepita Onlus (cooperativa sociale che ha sede a Milano) - diffuse online in cui il “gioco” consiste nel farsi del male, nel ferire il proprio corpo e nei modi più disparati. Purtroppo in alcuni casi tutto questo porta alla morte, ma sarebbe sbagliato pensarle come a dei modi per togliersi la vita. Gli studi, soprattutto nel campo psicoanalitico, ci dicono che è certo che chi si ferisce lo fa per un motivo che ha poco o nulla a che fare con l’idea di togliersi la vita. I motivi sono profondi, riguardano il rapporto con il proprio corpo, con gli aspetti inconsci della persona”.

Secondo ultime ricerche in campo psicoanalitico, i ragazzi, e soprattutto le ragazze, solitamente si feriscono per negare la separazione o la perdita (mi rifiuto di accettare la perdita di una relazione che prima avevo e che ora non ho più); coprire un corpo vissuto con vergogna o attaccarlo perché vissuto come estraneo; tentare una separazione (se mi taglio, “taglio” anche un cordone ombelicale che mi opprime); affrontare un senso interno di frammentazione. “Tutto questo – ha prosguito Bernardi - può riguardare da vicino un adolescente, impegnato com’è nell’affrontare quei compiti evolutivi che riguardano la separazione e la definizione di sé, la mentalizzazione del proprio nuovo corpo sessuato e la costruzione di un’identità coesa. Un atto autolesivo può trasformare una sofferenza psichica in fisica, in modo da poterla tenere sotto controllo e comunicare senza parole”. La potenza mediatica della rete e dei social network, in questo caso, che avvicinano senza creare una relazione reale e stabile, rende il gesto pubblico e visibile a chiunque.

“I nostri ragazzi cercano la botta di adrenalina – ha commentato Ivano Zoppi, Presidente di Pepita Onlus e Cuore e Parole e Direttore della Fondazione Carolina – e noi non possiamo stigmatizzare il gesto, considerandolo fuori dagli schemi. Leggiamo il disagio tra le righe, senza avere il timore di parlare di argomenti forti con i ragazzi. Apriamo con loro il dialogo e rispettiamo i loro spazi, ma soprattutto, basta dire "non so, non sapevo, non conosco". Dobbiamo essere presenti nei momenti della loro vita in cui l'asticella viene spostata troppo avanti”.

Come possono prepararsi i genitori? Ecco alcuni consigli stilati dall’équipe del Centro Studi di Pepita Onlus, da oltre quindici anni impegnata nell’avventura dell’educare e nell’affrontare i disagi adolescenziali nelle scuole e in tutte le realtà educative attraverso modelli interattivi che aiutano i ragazzi a responsabilizzarsi. Avviare il dialogo quando i bambini sono molto piccoli, mettendo al centro l’importanza del gioco come strumento di relazione; capire momenti giusti e rispettare gli spazi dei figli adolescenti, tenendo questo dialogo attivo; osservare a distanza comportamenti anomali e sofferenze: quando si chiudono in camera troppo a lungo, on escono con gli amici, cambiano umore. Ma anche vigilare sui loro profili social e con loro concordare tempi e modi di utilizzo, stabilendo insieme regole, ricordando loro che siete voi genitori gli intestatari del contratto e i proprietari dello smartphone e l’utilizzo da parte loro e una vostra concessione; aprire la propria casa ai loro amici per parlare insieme attorno a un tavolo e comunicare stabilità e fiducia; crcare l’alleanza educativa con docenti a scuola, condividendo la responsabilità educativa senza demandarla, a vantaggio dei vostri figli, che altrimenti giocheranno sulla distanza tra le parti per evitare il dialogo.