L’ultima lettera di Daniel, impiccato in cella. "Vogliono uccidermi". E i segni sul corpo

Rho, il ventenne recluso a Grasse, in Francia, temeva gli altri: "Non sono un infame". Nuova autopsia in Italia. "Ferita dietro il cranio, non è suicidio"

Branka Milencovic insieme al figlio Daniel Radosavljevic deceduto in circostanze sospette

Branka Milencovic insieme al figlio Daniel Radosavljevic deceduto in circostanze sospette

Rho (Milano) - Un esposto al Tribunale di Roma per delitto commesso all’estero ai danni di un cittadino italiano. Chiede di indagare sul carcere francese di Grasse, "per reati commessi in condotte attive e omissive", la famiglia di Daniel Radosavljevic, 20 anni, cittadino italiano, trovato impiccato lo scorso 18 gennaio nella cella dove si trovava in custodia cautelare dopo l’arresto dell’8 ottobre 2022. La famiglia non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio e nei biglietti scritti a mano da Daniel emerge in modo inequivocabile la paura che aveva di morire. Si sentiva in pericolo, aveva paura di ritorsioni, "il nano di Nizza che mi ha detto che arriverà un detenuto con me (...) che mi ammazzerà e così arriverà la mia morte. Vi prego, vi chiedo aiuto, vi supplico aiutatemi".

Il biglietto è datato 17 gennaio. Il giorno dopo la mamma Branka Milenkovic riceve la telefonata della direzione del carcere, "suo figlio si è suicidato per impiccagione durante il regime di isolamento". E poi un’altra telefonata da un detenuto che invita i parenti a investigare. Per sapere cosa sia successo in carcere, come è morto Daniel e perché, il legale della famiglia, l’avvocato Francesca Rupalti, ha presentato l’esposto al tribunale romano competente per questo tipo di reato. Domani sarà il giorno dell’autopsia, in Italia, all’istituto di medicina legale di Milano, alla presenza di un consulente di parte.

"È stata fatta anche un’autopsia in Francia, ma non abbiamo ancora l’esito", spiega l’avvocato. Intanto ci sono le foto scattate dai parenti quando hanno visto la salma di Daniel, "ci sono una ferita nella parte dietro del cranio, un’altra sotto il costato, il mignolo rotto e altri segni che ci lasciano perplessi che non possono essere riferibili all’impiccagione". E poi secondo la famiglia Daniel non aveva nessuno motivo di togliersi la vita, "non vedeva l’ora di tornare a casa", racconta la mamma. Il 20enne era stato arrestato l’8 ottobre a Cannes con l’accusa inottemperanza all’ordine di fermo e tentato omicidio di un pubblico ufficiale perché non aveva rispettato l’alt imposto ad un posto di blocco, era fuggito e aveva speronato le auto della Gendarmeria.

Dal carcere di Grasse comunicava con la famiglia tramite un telefono clandestino e intanto scriveva biglietti. La carcerazione stava per scadere, "Daniel aveva contezza che probabilmente si sarebbe interrotta, l’udienza era fissata per il 25 gennaio". Il 15 gennaio la sua ultima telefonata alla mamma. E poi verità e timori su fogli manoscritti dalla cella, "era ossessionato dalle accuse di essere un infame che nel gergo carcerario è come avere una condanna a morte – aggiunge l’avvocato Rupalti – lo scrive spesso nei suoi biglietti, dice di avere la coscienza a posto, ma ha paura e si sente al sicuro solo in isolamento".

Ma purtroppo non è stato così. La sua volontà, quella si, è stata rispettata. I suoi manoscritti sono stati consegnati alla famiglia, insieme agli effetti personali. Daniel aveva un sogno, "spero che di tutto ciò che è accaduto venga fatta giustizia per i ragazzi che come me si trovano soli, senza un aiuto, senza un amico (...) Perché faccio tutto ciò? Perché io non sono come loro che si ammazzano come cani e ho pensato di ritornare dalla mia famiglia (...)".