
Adolescenti e smartphone
Milano - Secondo un recente studio, la pandemia ha fatto aumentare, in media del 30 per cento, le diagnosi di disturbi alimentari nei giovanissimi, rispetto all'anno precedente (febbraio 2020 - febbraio 2021). Aumentano anche i disordini alimentari, e, sempre tra i minorenni, anche i casi di atti lesionistici, i tagli in particolare, e i tentativi di suicidio. Insomma, che questo ultimo anno stia avendo conseguenze drammatiche sui ragazzini, e in modi diversi anche sui bimbi più piccoli che si ritrovano privati delle prime esperienze con i coetanei all'asilo, è abbastanza evidente. Non è certo una passeggiata neppure per i genitori, alle prese con smartworking (quando si può, e sempre se il lavoro c'è) e didattica a distanza. Per loro il rischio burn-out è dietro l'angolo. E allora, in uno scenario già difficile, cosa possono fare i genitori per aiutare i più piccoli a superare al meglio questo periodo? Lo abbiamo chiesto a Silvana Quadrino, psicologa, psicoterapeuta, formatrice e responsabile progettazione e formazione in ambito sanitario Istituto Change Torino, autrice tra l'altro di un libro illuminante dal titolo 'Diventare grandi, insieme' (edizioni Uppa).
Dottoressa, partiamo dall'inizio: qual è la situazione, a un anno dall'inizio della pandemia? Come stanno i bambini?
"I bambini inevitabilmente reagiscono a seconda dell'età e del carattere: c'è quello che diventa più capriccioso e quello che diventa meno attivo. A questo si somma la difficoltà dovuta alla convivenza forzata e continua tra due generazioni. E questo vale per i grandi come per i piccoli. I genitori perdono la ricchezza delle situazioni di scambio tra adulti, sono confinati in una relazione con i figli che crea stress e ansia da prestazione: bisogna farli divertire, inventarsi attività montessoriane, fare la pizza insieme ma anche farli studiare, ma anche farli mangiare. E' faticoso e noioso. Lo stesso succede ai bimbi, che perdono la ricchezza delle relazioni con altri bambini e anche con altri adulti".
Come si traduce tutto questo stress in famiglia?
"Un genitore stressato non fa bene a nessuno, comunica un modello di sacrificio che non fa bene al bambino".
Come si rimedia a questo corto circuito?
"Partiamo da una considerazione: per fortuna - o purtroppo - non c'è nulla di quanto accade che sia indifferente a ciò che succede in famiglia. Da un lato questo ci fa sentire meno vittime degli eventi, possiamo regolare gli effetti di ciò che accade. Dall'altro, l'adulto sente su di sé tutta la responsabilità di questa situazione e degli effetti sul bambino. Quindi per prima cosa direi ai genitori che possono fare molto per evitare conseguenze disastrose, ma devono evitare di andare in crisi da iper prestazione. E' vero che i bambini non sono contenti, ma i genitori devono proteggersi dai sensi di colpa, devono evitare di darsi obiettivi impossibili".
In concreto?
"Bisogna ridurre le aspettative, accettare che i bambini siano noiosi, annioati e richiedenti. Se la coppia funziona, ci si dividerà il 'lavoro' di cura, dando spazio all'altro. Oppure si cercherà un aiuto esterno. Bisogna difendere il proprio 'diritto al sollievo', quello che ora ci è negato, perché ci è consentito solo l'impegno: si può andare al lavoro ma non al ristorante".
Insomma, no all'ansia da prestazione, sì a un po' di imperfezione.
"Lo dico da terapeuta: fa più danni l'obiettivo della perfezione rispetto all'imperfezione quotidiana. La madri perfette creano situazioni molto imperfette".
Parliamo dei più grandi: come se la cavano gli adolescenti?
"Per loro la situazione è molto più pesante. Per quelli che hanno dai dieci anni in su, questo momento di deprivazione accade in un momento in cui iniziano a essere percepiti i compiti evolutivi. Il ragazzino o la ragazzina inizia a definirsi come persona, prova a vedere come funziona l'approccio con gli adulti significativi, con l'altro sesso, con lo stesso sesso. Sono tutti momenti di prova che sono sospesi, che gli stanno venendo sottratti: e questo sì che mi preoccupa. E' una situazione che può essere fonte 'solo' di nervosismo, ma cominciano a esserci situazioni più vicine alla sofferenza psichica. Depressione, assenza di dialogo con i genitori, disturbi alimentari, disordini alimentari, tentativi di suicidio e atti lesionistici. Per esempio, i pediatri che lavorano nei Pronto soccorso dicono che sempre più spesso arrivano adolescenti che si sono procurati tagli. Può esserci anche la reazione opposta, la paura, anche nei bambini più piccoli. Non escono, hanno paura quando escono i genitori, alcuni si chiudono in camera come se il virus potesse aggredirli in ogni momento".
Tutta colpa della pandemia?
"C'è da dire che l'aumento dei disturbi alimentari e degli atti di lesionismo è iniziato è stato registrato fin dal 2019, quindi non si può creare una correlazione certa fra disagio e pandemia. L'epidemiologia psicologica non è una scienza esatta".
Come mai, secondo lei?
"Una delle ipotesi è che i ragazzini che hanno 10, 12 anni, sono figli di una generazione insicura, incapace di indirizzare in modo positivo il bambino. Incapace di far capire che tu sei il figlio, non hai i diritti dei bambini ma neppure i doveri. In questo modo gli adolescenti si sentono sprovvisti di confini, non sanno come contenere le emozioni nel passaggio verso l'immagine adulta di sé".
Per concludere, cosa possono fare i genitori per aiutare questi giovani fragili in un momento difficile?
"E' la classica domanda impossibile. Direi: il meglio possibile. Certo, è più facile dire cosa non devono fare: non bisogna colpevolizzare i ragazzi per i momenti di rabbia o per la poca voglia. Non si può chiedere di tutto ai ragazzi: di seguire la Dad, di essere sereno, di collaborare in casa. Bisogna abbassare le richieste e individuare due o tre punti su cui il ragazzo non deve mollare. Altra cosa importante: imporre ritmi normali. Vietato alzarsi alle 12, fare colazione quando capita. Infine: rispettare l'autonomia del ragazzo anche se è in Dad. Lo spazio della Dad deve essere come quello della scuola in presenza: il genitore non c'è".