Luca Zorloni
Cronaca

Milano battezza la Carta del cibo, ecco l’eredità dell’Esposizione

Lotta agli sprechi e al lavoro minorile, obiettivo 10 milioni di firme

Salvatore Veca coordinatore dei lavori per la Carta di Milano

Milano, 30 aprile 2015 - IL PRIMO traguardo è stato tagliato. Quello che fino a due anni fa era un flusso di pensieri, proposte, parole, oggi è nero su bianco. Cinque pagine di impegni per garantire un’equa distribuzione del cibo e delle risorse naturali del pianeta. È la Carta di Milano. Il manifesto che l’Italia vorrebbe lasciare in eredità al mondo dopo i sei mesi dell’Esposizione universale sull’alimentazione. L’obiettivo è «vincere le grandi sfide connesse al cibo: combattere la denutrizione, la malnutrizione e lo spreco, promuovere un equo accesso alle risorse naturali, garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi». Il cantiere non è chiuso. «Questo non è un punto di arrivo, ma di partenza», ha detto ieri il ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina, tra i promotori dell’iniziativa. Durante i sei mesi di Expo il dibattito proseguirà, per affinare il testo che il 16 ottobre sarà consegnato al segretario dell’Onu, Ban Ki-moon. «Ci attendiamo i contributi dei cittadini, perché questa è una carta che parte dal basso», spiega Salvatore Veca, filosofo e coordinatore scientifico del Laboratorio Expo, che ha curato la stesura del manifesto.

L’OBIETTIVO è di raccogliere nei prossimi sei mesi fino a 10 milioni di firme da parte di singoli cittadini, sia in rete (sul sito www.carta.milano.it) sia al Padiglione Italia a Expo. «Il successo dipenderà dal coinvolgimento delle persone, che a quel punto chiederanno a chi ha il potere di rendere conto», osserva Veca. La carta, d’altronde, resterà lettera morta se non sarà trasferita nelle norme del diritto internazionale. E questo significa un fine lavoro di diplomazia. Perché se è vero che le regole di ingaggio del manifesto comprendono buone pratiche quotidiane – «consumare solo le quantità di cibo sufficienti al fabbisogno», «evitare lo spreco di acqua», «riciclare, rigenerare e riusare» – l’efficacia di questo strumento si misurerà nella capacità di intervenire sulla politica globale, come «denunciare le principali criticità nelle varie legislazioni che disciplinano la donazione degli alimenti invenduti» e «promuovere strumenti che difendano e sostengano il reddito di agricoltori, allevatori e pescatori». E ancora: «investire nella ricerca», «promuovere la diversificazione delle produzioni agricole e di allevamento», «rafforzare le leggi in favore della tutela del suolo agricolo», «sviluppare un sistema di commercio internazionale aperto», «considerare il cibo un patrimonio culturale e in quanto tale difenderlo da contraffazioni e frodi», «combattere ed eliminare il lavoro sia minorile sia irregolare».

IMPEGNI difficili, sulla cui possibilità di realizzazione non sono mancate perplessità. Specie nel coinvolgimento delle grandi multinazionali, ma anche nel persuadere stati come la Cina a fare un passo indietro sulla corsa alla terra in Africa e America Latina. Qualcosa si muove, ad esempio al Parlamento europeo, riferisce Veca. I numeri, d’altronde sono impietosi: oggi si contano 800 milioni di persone che patiscono la fame e, contemporaneamente, ogni anno si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. Un sistema che non si regge in piedi, specie mentre la popolazione mondiale si appresta a toccare quota 9 miliardi di persone nel 2050. «Costituiremo un’associazione Carta di Milano, che tenga viva la discussione – promette Veca –. E mi auguro che a Milano resti un progetto di ricerca sull’alimentazione, come il Centro sul diritto al cibo di Livia Pomodoro». A Roma, invece, si studia l’ingresso in Costituzione del diritto al cibo: «Sarebbe un segno importante – osserva Martina – della stagione che si apre con Expo».