Pandemia, l'altra emergenza: a rischio le cure per 5 milioni e mezzo di malati non Covid

L'effetto del blocco delle prestazioni, per procedere alla riconversione dei reparti ospedalieri, su chi è affetto da malattie croniche

L’ingresso dell’area Covid ricavata alla Poliambulanza di Brescia

L’ingresso dell’area Covid ricavata alla Poliambulanza di Brescia

Sono cinque milioni e mezzo i pazienti affetti da malattie croniche che risultano nuovamente penalizzati dal blocco delle prestazioni, messe in atto da 17 regioni, per procedere alla riconversione dei reparti ordinari in reparti destinati ai soli malati Covid.

Persone che soffrono di malattie dermatologiche croniche come psoriasi, dermatite atopica e artrite psoriasica; oppure di malattie reumatiche e malattie infiammatorie croniche dell'intestino, oltre un milione delle quali in forma grave. A denunciare la situazione sono le associazioni Amici onlus, Anmar, Apiafco, Apmar e Salutequità che sottolineano "l'immobilismo delle istituzioni nel garantire il diritto alla cura anche ai pazienti non Covid". Le associazioni chiedono dunque al Governo e alle Regioni di "riorganizzare urgentemente l'assistenza socio-sanitaria territoriale, con l'obiettivo di garantire la continuità delle prestazioni anche nelle fasi emergenziali cicliche, a partire da una maggiore presenza e disponibilità di personale medico, infermieristico e altre professionalità". "Il trasferimento di risorse e personale, unito al vertiginoso aumento dei contagi (anche tra gli stessi operatori sanitari) causati dalla variante Omicron - rilevano le associazioni in una nota congiunta - stanno riconfigurando il medesimo scenario degli ultimi due anni: individuare nella soppressione delle prestazioni essenziali l'unica alternativa alla gestione dell'emergenza sanitaria, con l'aggravante che per molte di queste malattie la diagnosi precoce e il trattamento continuativo sono i principi base della cura. Trascurare questi aspetti significa minare la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie, costrette a vivere una pandemia sociale, oltre che sanitaria. L'allungamento delle liste di attesa sarà la conseguenza dell'attuale blocco e porterà a un prevedibile incremento in futuro dei costi sanitari per gli interventi necessari a sanare i ritardi accumulati".

D'altra parte la situazione negli ospedali italiani non è facile, come spiega Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit). "In ospedale - dice - abbiamo sempre avuto a che fare con pazienti ricoverati 'con Covid' e non 'per Covid'. Questo perché già nelle prime ondate ci siamo messi a cercare il virus in chi veniva ospedalizzato per evitare i focolai che nella prima parte della pandemia aveva complicato molto le attività di tanti ospedali. Quindi è un fenomeno che c'è sempre stato e ora è particolarmente rilevante per la presenza di Omicron, una variante ad alta trasmissibilità, che sta mettendo in difficoltà gli ospedali proprio nella gestione del paziente Covid, sia già positivo all'arrivo che scoperto dopo, perché necessita di percorsi differenti e se ha altre patologie occorre seguirlo in modo diverso".

Spiega Andreoni: "Oggi in ospedale gli accessi si dividono in Covid e non Covid, ma con l'emergere di Omicron sono aumentati i ricoverati asintomatici che scopriamo positivi quando arrivano per altri motivi. Quindi per loro serve un altro percorso che comporta chiaramente l'isolamento dai non Covid e poi devono essere seguiti dallo specialista legato alla problematica per cui si erano ricoverati. E' il medico infatti che andrà a visitarli con tutte le precauzioni del caso". La nuova organizzazione anti-Omicron degli ospedali deve poi tener conto "che in alcuni casi questi pazienti asintomatici ma con pluripatologie manifestano il quadro clinico del Covid durante il ricovero, altra problematica da seguire", conclude il primario.