Lombardia, colletti bianchi: troppi affari con le mafie

Infiltrazioni e collusioni sempre più forti sottolineate dalla relazione della Dia. Meno manovalanza, ma in netta crescita il livello del business a partire dai rifiuti

Dia,  Direzione Investigativa Antimafia (Ansa)

Dia, Direzione Investigativa Antimafia (Ansa)

Milano, 21 gennaio 2020 - Sempre più bianchi i colletti della mafia in Lombardia. Per infiltrazioni nella galassia imprenditoriale. Per collusioni con politica e pubblica amministrazione. Lo rileva il rapporto della Direzione Investigativa Antimafia per il primo semestre 2019. Dal monitoraggio delle attività imprenditoriali e dai provvedimenti delle prefetture si "evidenzia come l’infiltrazione mafiosa del tessuto imprenditoriale nel settore degli appalti pubblici e nel rilascio delle autorizzazioni, licenze e concessioni pubbliche sia diventata concreta e sempre più articolata: ristorazione, edilizia, autotrasporto di merci, gestione di parcheggi, servizi di pulizia ed altro, sono solo alcuni dei settori interessati, nel corso del semestre, dai numerosi provvedimenti interdittivi antimafia assunti dalle Prefetture lombarde". «Altrettanto insidiosi appaiono i rapporti collusivi, ancora una volta emersi nel semestre, intessuti dai sistemi criminali con esponenti della politica e della pubblica amministrazione, attraverso i quali vengono illecitamente ottenuti appalti, erogazioni pubbliche e assunzioni clientelari. In tale contesto, i reati di tipo corruttivo assumono una dimensione considerevole".

In questo scenario si inserisce quella che il rapporto della Dia definisce "un’ulteriore costante nelle inchieste giudiziarie che hanno toccato la Lombardia": la presenza di professionisti, nello specifico la "disponibilità di professionisti compiacenti, asserviti nel nome di convergenze affaristico-criminali, risultati determinanti per l’operatività della criminalità mafiosa". Viene riportato come emblematico il caso di un noto oculista di Pavia, condannato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), il 18 febbraio 2019, a dieci anni e sei mesi di reclusione, con l’interdizione per due anni dall’esercizio della professione e tre anni di libertà vigilata, una volta espiata la pena. I reati contestati erano quelli di concorso esterno in associazione camorristica e false attestazioni all’autorità giudiziaria per “aver redatto, nel 2008, una falsa certificazione per una patologia inesistente a favore del boss del clan Setola. Tale documentazione aveva consentito al camorrista di ottenere gli arresti domiciliari in una clinica privata, da cui poi fuggì dando inizio ad una stagione del terrore nel Casertano costata diciotto morti, tra i quali vittime incolpevoli come l’imprenditore Domenico Noviello (16 maggio 2008) e i sei cittadini ghanesi uccisi nella ‘strage di Castel Volturno’ (18 settembre 2008”.

Fra le organizzazioni mafiose la ‘ndrangheta è quella che “ha nel tempo rinforzato il suo radicamento e la sua presenza sul territorio”. La mafia calabrese è presente con 25 “locali” distribuiti fra le province di Milano (Milano, Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro-Legnano), Como (Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco-Cermenate), Monza-Brianza (Monza, Desio, Seregno, Lentate sul Seveso, Limbiate), Lecco (Lecco, Calolziocorte), Brescia (Lumezzane), Pavia (Pavia, Voghera), Varese (Lonate Pozzolo). Molto spazio è dedicato alla tematica ambientale. Tra il 2017 e il 2018 diverse province lombarde (in particolare Milano, Pavia, Cremona) sono state interessate da una sequela di incendi in depositi di stoccaggio rifiuti, anche di notevoli dimensioni. Gli episodi eclatanti hanno fatto registrare una contrazione, mentre, in parallelo, si sviluppava l’azione di contrasto di polizia di Stato e carabinieri (operazioni “Venenum”, “Bianco&Nero”, “Feudo”). Attenzione, però, perché nel traffico dei rifiuti possono essere rapide le inversioni di rotta per proseguire il business. Lo ha dimostrato l’inchiesta “Feudo” (7 ottobre 2019): "rifiuti, anche speciali, che fino a quel momento erano sversati (e all’occorrenza dati alle fiamme) in capannoni dismessi in Brianza, nel Comasco e nel Milanese (Gessate, Varedo e Cinisello Balsamo) ma anche in provincia di Trento, sono stati poi dirottati dalla Lombardia verso la Calabria e ‘tombati’ in una cava del Lametino". «È una situazione preoccupante – l’analisi di Enzo Ciconte, docente a contratto di Storie delle mafie italiane all’università di Pavia – che conferma ed aggrava gli allarmi che erano stati dati negli anni scorsi e che sono rimasti inascoltati".