
Industria in sella: "Puntiamo sull’Italia ma serve personale. Il brand è garanzia"
La decisione di Cinelli di investire su Milano avviando la produzione interna dei telai in acciaio nello stabilimento di Caleppio di Settala, dove lavorano 45 dipendenti, ha già avuto i primi effetti. Dal made in Italy deriva ora il 7% del fatturato totale del gruppo (prima era il 2,5%), con l’obiettivo di arrivare al 20%. Il resto della produzione, in carbonio o alluminio, resta invece a Taiwan. Nella strategia del marchio, fondato a Milano quando correva l’anno 1948 dall’ex corridore professionista Cino Cinelli, la Lombardia è il polo per l’altissima gamma, sfornando bici che arrivano a costare fino a 12mila euro. "Per portare in casa le lavorazioni che prima affidavamo a ditte esterne abbiamo investito circa 200mila euro – spiega Marcello Segato (nella foto), amministratore delegato di Cinelli e Columbus – soprattutto per l’acquisto di macchinari e impianti. Siamo riusciti, così, ad aumentare la capacità produttiva fissando l’obiettivo 50 bici al mese".
Un’operazione che si è scontrata anche con la difficoltà nel trovare saldatori, superata infine con il reclutamento di un giovane “artigiano 4.0“, specializzato nelle bici, con alle spalle una laurea triennale al Politecnico e "la visione giusta per far crescere un team". Carte puntate su Milano dopo il passaggio dei marchi Cinelli e Columbus, dal 2021, in mani americane. Il gruppo, prima di proprietà dell’imprenditore Antonio Colombo, è stato acquisito infatti da Asobi Ventures, fondo di investimenti del manager della moda texano Victor Luis. Fondo estero che, a differenza di altre realtà, sta scommettendo sull’Italia. "Tutta la produzione in acciaio è concentrata in Italia – racconta Segato – e l’85% del processo è fatto in casa. Ora affidiamo all’esterno solo la verniciatura".
Discorso diverso, invece, per le bici in alluminio e carbonio. "La produzione di bici in carbonio in Italia è impossibile perché tutta la tecnologia è a Taiwan – prosegue il manager – e l’Asia è imbattibile sulle lavorazioni per alti volumi, anche artigianali. L’Italia è invece vincente sulla fascia più alta. Crediamo molto nel made in Italy ma purtroppo facciamo fatica a trovare personale, ad eccezione delle attività più legate al marketing". Investimenti che si inseriscono in un periodo di luci e ombre per il settore della bici. "Il mercato segue un trend positivo – prosegue Segato – ma anche nel 2024 si avvertiranno gli effetti della bolla gonfiata durante la pandemia. Si è registrato un picco di domanda, fino a quando la bolla è scoppiata e molti sono stati costretti a svendere le bici che avevano accumulato nei magazzini. Resiste chi ha un brand solido".
Andrea Gianni